Bottega del Sapere: "Il lavoro, sicuro! A vore, sigûr!" - Prof.ssa Zilli, Prof. Picco

La seguente relazione fa riferimento alla Bottega del Sapere tenutasi mercoledì 29 maggio 2019 presso l’esercizio commerciale Quinto Recinto Enofficina. I docenti coinvolti, Anna Zilli e Gianluca Picco, appartengono al Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Udine e hanno sostenuto un incontro con la popolazione, trattando il seguente il tema: “Il lavoro, sicuro! A vore, sigûr!”

 

BOTTEGHE DEL SAPERE 29.05.2019

 

La Bottega è stata occasione per discutere sull'importante tema del lavoro nella Regione del Friuli-Venezia Giulia. Le riflessioni si sono sviluppate sotto tre principali profili:

a)       La sicurezza del posto di lavoro, nell’era della c.d. “Industry 4.0”;

b)      La sicurezza sociale, anche rispetto al c.d. lavoro povero;

c)       La sicurezza sul lavoro.

a) Il cambiamento del mondo del lavoro e dell'organizzazione del lavoro: la flessibilità nell'era della c.d. “Industry 4.0”.

Un’adeguata illustrazione del lavoro nella nostra regione impone, dapprima, una breve ricognizione di carattere generale sul cambiamento del mondo del lavoro su scala di più ampio respiro e, quindi, un’indagine più mirata alla realtà del Friuli Venezia Giulia. Il punto di partenza di ogni riflessione è stato pertanto il cambiamento del mondo del lavoro e della stessa organizzazione del lavoro all'interno dei cancelli delle fabbriche, dovuto all’incessante innovazione tecnologica e allo sviluppo di nuove forme di economia digitale. Con queste trasformazioni tecnologiche – si parla in dottrina di “Quarta Rivoluzione Industriale” o anche di “Industry 4.0” – si è registrato l'irrompere sulla scena di nuovi attori come le piattaforme digitali, in grado di scompaginare i basilari riferimenti del diritto del lavoro, con inevitabili ricadute sul futuro del lavoro e delle regole giuridiche connesse.

Ulteriore espressione di queste trasformazioni tecnologiche è la nuova economia fondata sul digitale, sulla rete, chiamata “Gig Economy”, dove al centro del sistema non c’è più la fabbrica (come nel mondo del lavoro proprio del Novecento), ma un software, un’applicazione fondata su algoritmi. “Gig Economy”, altro non significa che “economia del lavoretto”, caratterizzata da un lavoro estremamente flessibile e precario, tanto che le parole d’ordine del nuovo mondo del lavoro sono “insicurezza e discontinuità”.

Al lavoratore infatti non è dato sapere se e quanto lavorerà e dunque quale reddito sarà in grado di procurarsi e per quanto tempo. In altre parole, il lavoratore della Gig Economy si trova, di fatto, in una disarmante situazione di “prova” permanente.

Il modello organizzativo che si sta così via via affermando è quello di un sistema frammentato, di sotto-occupazione, con un impiego flessibile della forza lavoro in cui si sbiadiscono gli stessi confini temporali e spaziali della prestazione ed in cui si assiste ad una promiscuità (o porosità) dei tempi di vita e di lavoro.

La stessa disoccupazione diventa meno visibile, in una continua alternanza di periodi di lavoro e periodi di non lavoro, sciogliendosi e confondendosi con l’occupazione saltuaria, precaria, flessibile.

Stando alle indagini socio-economiche più accreditate, i cambiamenti tecnologici in corso nella realtà produttiva italiana presentano comunque forti ritardi: infatti, solo un terzo delle imprese italiane può vantare caratteristiche innovative e aperte all'esportazione.

Per quanto riguarda invece i dati inerenti alla Regione del Friuli-Venezia Giulia, secondo un'indagine del Ministero dello Sviluppo Economico del 2018 le imprese tradizionali con investimenti di innovazione programmata sono solamente il 4,1% (a differenza del confinante Veneto  dove il dato sfiora l'8%), le imprese “4.0” con almeno una tecnologia già in uso sono il 9,5% (in Veneto ad esempio l'11,7%), mentre le imprese tradizionali senza investimenti programmati sono addirittura l'86,4% (in Veneto invece l'80%).

Quindi, sia in Italia che nello stesso Friuli-Venezia Giulia, l'Industria 4.0 non ha ancora inciso in maniera dirompente, verosimilmente perché il tessuto economico e produttivo è composto da poche grandi imprese e da moltissime piccole e medie imprese, per lo più prive di visione strategica o comunque con evidenti difficoltà ad investire nella nuova direzione del 4.0.

Tuttavia, è da condividere la previsione secondo cui l'innovazione digitale, seppur ancora lenta, avanza e avanzerà anche nel mondo delle imprese italiane e regionali con ritmi sempre più rapidi ed esponenziali e con contenuti non facilmente prevedibili a priori. Ciò avrà inevitabili ripercussioni non solo sui tradizionali modelli organizzativi e produttivi, ma anche sulle condizioni di lavoro, sul modo di lavorare e di vivere; influenzando così l'aspetto professionale e ancor prima quello privato.

Se da un lato l'Industria 4.0 toglie posti di lavoro all’uomo per darli alle macchine e ai robot, dall'altro lato appare prevedibile anche la creazione di posti diversi di lavoro (emersione dei c.d. “nuovi lavori”) e quindi la necessità di una differente e più specifica formazione dell'uomo per rimettersi al centro del sistema produttivo (anche nella stessa interazione uomo-macchina).

Di fronte all'emersione dell’Industria 4.0, il Diritto del Lavoro – da sempre, più di altre branche del diritto, esposto alla necessità di adattare i propri contenuti in relazione all'evoluzione dei fenomeni economici e sociali – è chiamato a dare risposte alle imprese, al lavoro e soprattutto ai giovani. Ciò può avvenire, da un lato, prevedendo degli incentivi alle imprese per aiutarle a fare il salto di qualità (anche in ottica di competizione e competitività a livello globale), mentre, dall’altro lato, fornendo strumenti contrattuali ai lavoratori che li tutelino di fronte a questi cambiamenti.

Se – come abbiamo già avuto modo di vedere – il modello “Industry 4.0” è ancora in lenta diffusione anche nella nostra Regione, dai numeri emerge invece in modo più chiaro come oggi gli imprenditori, spesso costretti dalla forte concorrenza, siano portati a mettere in discussione il classico modello del contratto di lavoro subordinato e, spinti anche dalla necessità di abbassare i costi della produzione, siano costantemente alla ricerca di nuovi modelli di lavoro fortemente flessibili che spesso finiscono con il guardare, con maggior favore, a tipologie di lavoro autonomo. 

Al riguardo, interessanti sono alcuni dati del nostro FVG. Gli occupati a tempo determinato nel 2018 sono 72 mila, mentre nel 2008 erano 51 mila, così segnando una variazione in aumento del 41% nel corso di un solo decennio. A fronte di un così visibile aumento degli occupati a tempo determinato, quelli a tempo indeterminato sono diminuiti del 4,7%, passando dai 347 mila del 2008 ai 331 mila del 2018.

Per quanto riguarda invece le assunzioni, a conforto di quanto sostenuto, si può notare che nel 2018 le assunzioni a tempo indeterminato sono state solamente 18.350, a fronte invece di 59.608 assunzioni a tempo determinato, 37.619 a somministrazione e 14.199 con contratto intermittente.

 

b) La sicurezza sociale, il lavoro povero, gli strumenti in campo in Friuli-Venezia Giulia.

Alla luce di questo quadro di certo poco generoso per il futuro del lavoro, emerge il concetto di “lavoratori poveri” (c.d. woorking poor), seppur sembri una contraddizione visto che il lavoro è sempre stato considerato un mezzo per uscire dalla povertà e per riconoscere dignità alla persona.

Ora anche chi lavora non riesce sempre ad emergere dalla povertà, soprattutto a causa delle tipologie contrattuali usate, le quali pongono un problema di tutele per questi lavoratori (co.co.co. – autonomi – occasionali – lavoratori tramite piattaforme) che allo stato risultano di fatto scoperti dalle robuste tutele del lavoro subordinato.

In questo contesto pertanto il binomio lavoro-povertà, che caratterizzava il lavoro dell’Ottocento e della prima metà del Novecento, è tornato di estrema attualità nel Ventunesimo secolo, così da imporre delle nuove riflessioni sul valore del bene “lavoro”, considerato dall’art. 1 Cost. fondamento della nostra Repubblica.

Si inizia a ragionare di “lavoro dignitoso” (c.d. decent work), antagonista al fenomeno dei lavoratori poveri nonostante un’occupazione: infatti, proprio perché l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, se questo è fonte di povertà si inizia a mettere in discussione lo stesso fondamento della nostra democrazia.

In Italia i lavoratori poveri erano il 9% degli occupati nel 2008, ma nel 2017 sono diventati il 12,3% (contro dati europei medi, rispettivamente, all’8,5% e 9,5%).

Ad essi si sommano 5 milioni di poveri assoluti, di cui 35 mila in Friuli-Venezia Giulia.

Dinanzi a questi fenomeni si è giunti all'introduzione del c.d. Reddito di Cittadinanza con il d.l. n. 4/2019 (conv. in l. n. 26/2019).

Gli obiettivi alla base di questo strumento sono sostanzialmente due: il primo è il contrasto alla povertà; il secondo è l’accompagnamento dei poveri al e nel mercato del lavoro, seppur su questo obiettivo vi sia ancora un po' di ritardo. È nata quindi la figura del navigator, esperti (… precari anche loro!) in grado di orientare le persone nel mondo del lavoro, in supporto dei centri per l’impiego. Delle 79 mila domande pervenute da tutta Italia (di cui 717 dal Friuli-Venezia Giulia) saranno impiegati – con l'altrettanto discussa formula del contratto di collaborazione coordinata e continuativa – solo 50 mila persone. Di questi: 21 saranno adibiti alla Provincia di Udine, 10 a Trieste, 9 a Pordenone e 6 a Gorizia.

Per quanto riguarda invece le domande di accesso al Reddito di Cittadinanza, in Friuli-Venezia Giulia le domande alla data del 30 aprile 2019 risultano essere 12.462, di cui ne sono state accolte – alla data del 18 aprile 2019 – solamente 5.221 (di cui 2.031 nella Provincia di Udine, 1.702 in Provincia di Trieste, 829 in Provincia di Gorizia e 659 in quella di Pordenone).

Si tratta di uno strumento assai controverso. In primis, non si può non notare che si prevede lo stesso importo mensile a prescindere dalle zone di erogazione del contributo, non considerando che il costo della vita in Italia è diverso nelle varie zone, ben più alto al Nord rispetto al Sud: quindi, il Reddito di Cittadinanza risulta di fatto sicuramente più incisivo al Sud.

In secondo luogo, per come è stato strutturato e per i suoi requisiti di accesso, lo strumento in parola premia maggiormente i single e le famiglie meno numerose, mentre è meno generoso con le famiglie numerose, seppur verosimilmente siano queste le più esposte alla povertà. In ultimo, sempre per quanto riguarda i requisiti di accesso, questi rendono difficoltosa l'elaborazione della domanda e la stessa possibilità di intercettare tutta la platea di soggetti che astrattamente ne potrebbero godere.

 

c) La precarietà e la sicurezza sul lavoro in Friuli-Venezia Giulia.

L'ultimo aspetto oggetto di disamina è stata la correlazione tra la precarietà occupazionale, sempre più diffusa nel mondo del lavoro in Italia e nel Friuli-Venezia Giulia, e la sicurezza sul lavoro.

Numerose ricerche internazionali confermano che la precarietà occupazionale comporta una serie di conseguenze negative sul benessere individuale e sulla qualità della vita organizzativa della persona.

In particolare, si riscontrano effetti sulla sfera motivazione del lavoratore, sulla soddisfazione al lavoro, sugli atteggiamenti verso l'organizzazione, sul benessere individuale nonché, in ultimo, sulla sicurezza, in quanto c'è la tendenza da parte dei lavoratori precari ad adottare comportamenti meno sicuri con una maggiore esposizione a rischi di incidenti sul lavoro. Gli infortuni sul lavoro sono un dato drammatico anche nella nostra Regione Friuli-Venezia Giulia, in quanto solo nel corso del 2018 vi sono stati ben 29 infortuni mortali (di cui 17 a Udine, 6 Pordenone, 4 Gorizia e 2 a Trieste) e 17.246 infortuni non mortali (nel 2017 erano 16.595).

Il Friuli-Venezia Giulia è così la seconda regione del Nord dopo la Liguria (e quinta in Italia) per incidenza della mortalità rispetto al numero di occupati, con 47,5 infortuni ogni milione di occupati.

Sul tema continua l’azione formativa dell’Università di Udine, che è impegnata annualmente in un prestigioso premio di laurea e convegno sulla sicurezza sul lavoro.