La ricerca

La possibilità di sviluppare attività di ricerca, studi e progetti

La Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva di Udine incoraggia la partecipazione attiva degli studenti alle attività di ricerca dei docenti di riferimento permettendo lo sviluppo e l'approfondimento di molteplici temi di Salute Pubblica - Public Health. Particolare attenzione viene certamente posta agli ambiti relativi alla valutazione del Sistema Sanitario, alle attività in gruppi internazionali e alle diverse aree dell’Epidemiologia ambientale e nutrizionale, a supporto dei progetti di ricerca in essere. Su questa base si innestano dunque proposte originali e innovative, frutto dell'iniziativa e dell’intuizione degli Specializzandi.

  • Vaccinazioni, con particolare riferimento alla Vaccine Hesitancy
  • Temi dello sviluppo sostenibile legati all’Agenda 2030 (Sustainable Development Goals)
  • Antibiotico resistenza (antimicrobial resitance & antimicrobial stewardship)
  • Stili di vita ed effetti dell’ambiente in popolazioni esposte
  • Fattori di rischio in ambito clinico e sanitario
  • Sviluppo di strumenti e metodi per la valutazione delle abitudini alimentari
  • Epidemiologia delle malattie cronico degenerative
  • Efficacia delle misure di prevenzione primaria e di empowerment attivate in forma individuale e collettiva
  • Il Risk management in ambito sanitario e sue ricadute nella pratica clinica corrente
  • Information technology assessment method
  • Sistemi di valutazione degli esiti e dell’appropriatezza degli interventi in ambito clinico e preventivo per il miglioramento dei servizi sanitari
  • Studio e validazione di sistemi standardizzati di rilevazione dei percorsi diagnostico-terapeutico-assistenziali

 

L'INDAGINE COORDINATA DAL GRUPPO DI RICERCA DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN IGIENE: "SOSTENIBILITÀ, SVILUPPO SOSTENIBILE E AGENDA 2030"

Il link all'articolo pubblicato sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health

https://www.mdpi.com/1660-4601/17/23/8968

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Tra la primavera e l’estate del 2019, un gruppo di ricerca del Dipartimento di Area medica dell’Università degli Studi di Udine, composto dai dr.i Laura Brunelli, Cecilia Smaniotto, Edoardo Ruscio e Claudio Battistella, e supervisionato dal Prof. Silvio Brusaferro, ha coordinato un’indagine multicentrica per studiare consapevolezza, conoscenza e atteggiamenti dei neoimmatricolati verso i temi dei Sustainable Development Goals (SDGs) e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. L’indagine è stata condotta congiuntamente da nove atenei italiani, fra cui quello friulano, sui nuovi iscritti dei corsi di laurea triennali e magistrali a ciclo unico dell’anno accademico 2018-2019. Le altre università coinvolte nello studio “Sustainable Development Goals e Agenda 2030: un’indagine su consapevolezza, conoscenza e atteggiamenti degli studenti universitari” sono state Brescia, Catania, Foggia, Milano Statale, Roma La Sapienza, Torino, Milano San Raffaele e Verona. Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, o Sustainable Development Goals (SDGs), sono stati adottati nel Settembre 2015 da circa 200 Paesi. Essi hanno fatto seguito ai Millennium Development Goals (MDGs), ampliandone la visione, estendendone l’ambizione (passando dal dimezzare all’eliminare le principali problematiche globali analizzate) e chiamando all’azione ogni Stato aderente con uguale impegno. Gli SDGs sono in totale 17, e sono declinati in 169 target e oltre 200 indicatori all’interno dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile; questi obiettivi ruotano attorno a 5 punti cardine (5 P): People, Prosperity, Planet, Peace e Partnership.  L’Agenda 2030 rappresenta pertanto un programma di sviluppo condiviso a livello globale, che coinvolge l’intera collettività nella missione di porre fine a ogni forma di povertà, combattere le disuguaglianze e affrontare il cambiamento climatico. Il raggiungimento di questi obiettivi non può prescindere dal soddisfacimento di bisogni sociali quali ad esempio istruzione di qualità, protezione sociale, servizi sanitari efficaci e opportunità lavorative, nell’ottica finale di non lasciare nessuno indietro (“No one is left behind”). Per la realizzazione degli obiettivi è richiesto l’intervento di professionisti formati sui vari settori d’interesse, che sappiano applicare la sostenibilità all’interno del proprio contesto professionale e al contempo ne conoscano la trasversalità e le potenziali declinazioni in qualsiasi settore. In questo quadro, le università sono uno snodo essenziale, come sede principale di apprendimento e ricerca nella fase precedente l’inserimento del professionista nel mondo del lavoro.

Attraverso la somministrazione di un questionario si è voluto stimare il livello complessivo di conoscenza rispetto agli SDGs e alle tematiche chiave per la realizzazione di un futuro sostenibile, individuare le fonti informative che sono utilizzate nell’acquisizione di tale conoscenza e le aspettative specifiche nei confronti del percorso universitario. Il questionario, composto da 70 item, è stato messo a punto dal team di studio dell’Università degli Studi di Udine, prendendo a modello e nel contempo semplificando strumenti più complessi utilizzati in altri contesti accademici a livello interazionale, come il Sustainability Literacy Test (Sulitest). Il questionario ha indagato, in termini di conoscenza, fonti di informazione e aspettative di apprendimento nei confronti dell’Università, otto concetti riguardanti lo sviluppo sostenibile, sei indicatori e sei documenti/modelli storici per lo sviluppo sostenibile. Al termine della compilazione del questionario, a ciascuno studente partecipante sono stati forniti alcuni contenuti di orientamento e approfondimento sui temi indagati dal questionario appositamente preparati, nello specifico la descrizione dei 17 SDGs e una breve lista di “pillole di sviluppo sostenibile”, con brevi spiegazioni di alcuni concetti fondamentali. Sono stati inoltre offerti link di indirizzamento a corsi e/o eventi riguardanti lo sviluppo sostenibile già organizzati presso l’Ateneo di riferimento.

  • Università degli Studi di Brescia: 234 (13,96%),
  • Università degli Studi di Catania: 258 (15,39%),
  • Università degli Studi di Foggia: 388 (23,15%),
  • Università degli Studi di Milano Statale: 29 (1,73%),
  • Università di Roma La Sapienza 158 (9,43%),
  • Università degli Studi di Torino: 112 (6,68%),
  • Università degli Studi di Udine: 289 (17,24%),
  • Università degli Studi di Verona: 133 (7,94%),
  • Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: 75 (4,47%).
  • La popolazione di studenti che hanno partecipato include una maggioranza di soggetti di sesso femminile (n.1006; 60,0%) con un’età media di 21,05±4.49 anni (range 18-71 anni). A livello nazionale, il campione di studenti mostra che un terzo delle matricole ha frequentato un Liceo Scientifico prima dell’Università. Al secondo posto si colloca l’Istituto Tecnico (16,5%). Le altre scuole secondarie, pur essendo tutte rappresentate, lo sono in misura inferiore. Una parte cospicua del campione nazionale, il 49,8%, afferma di frequentare un Corso di Laurea di Area Sanitaria. L’Area Umanistica (includente gli ambiti letterario, giuridico, politico e linguistico) raccoglie il 16,9% delle risposte. Gli studenti dell’Area Economica contribuiscono per il 9,6% delle risposte, gli studenti dell’Area Scientifica (ingegneria, architettura, matematica e informatica) per l’8,2%. Il 15,5% del campione, infine, afferma di frequentare Corsi di Laurea di Altra Area rispetto alle sopraelencate. A livello nazionale, circa i due terzi del campione di matricole a cui è stato sottoposto il questionario non aveva frequentato in precedenza altri Corsi di Laurea. Gli studenti con alle spalle un precedente percorso accademico nella maggior parte dei casi non lo avevano completato. La maggior parte degli studenti (75-85%) non aveva frequentato in precedenza alcuna attività formativa o corso specifico dedicato a SDGs o sostenibilità ambientale.

La conoscenza di concetti, indicatori e documenti/modelli inerenti lo sviluppo sostenibile si mostra pressoché ovunque scarsa, con poche eccezioni. Tra i concetti, una conoscenza elevata, per informazione autonoma o per studio scolastico, si ha solamente per l’effetto serra, verosimilmente in funzione sia dell’attuale ampia copertura mediatica della tematica, sia della maggiore probabilità, rispetto ad altre nozioni, di essere affrontato all’interno dei programmi didattici delle scuole secondarie. Gli indicatori di sostenibilità sono generalmente poco conosciuti, con una tendenza leggermente migliore per l’Indice di Sviluppo Umano. È possibile che ciò sia dovuto al fatto che, rispetto ad altri indicatori più prettamente di stampo economico, l’ISU è un indicatore trasversale che prima dell’Università può essere affrontato a scuola nei programmi didattici di educazione civica o storia e geografia politica. Infine, si evidenzia che tra i documenti/modelli dello sviluppo sostenibile, i soli per i quali gli studenti mostrino una discreta conoscenza sono gli accordi politici internazionali più recenti sui cambiamenti climatici (Parigi, 2015) e sul contenimento delle emissioni di gas serra (Kyoto, 1997). Esiste un’associazione significativa all’analisi univariata tra un minor livello di conoscenza e la frequenza di un corso di laurea dell’Area Sanitaria (p<0,001), confermata anche all’analisi multivariata. Si identifica inoltre un’associazione positiva tra precedente frequenza di attività non accademiche relative a SDGs e sviluppo sostenibile e un miglior livello di conoscenza.

I dati ottenuti mostrano come la conoscenza di base da parte degli studenti verso gli argomenti legati alla sostenibilità sia contenuta, con l’eccezione di effetto serra e, in minor misura, Protocollo di Kyoto e Accordi di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici. Ciò può essere conseguenza sia della maggiore copertura mediatica di questi temi specifici sia, per gli accordi internazionali, della loro approvazione relativamente recente. Minore conoscenza, ma al contempo minore interesse, si riscontra per documenti meno recenti, seppur tuttora validi (es. Brundtland Report), e per modelli economici a orientamento sostenibile, come la Doughnut Economy. Quest’ultima è inoltre collegata a un ulteriore concetto per cui gli studenti mostrano conoscenza più scarsa, i confini planetari. La minore conoscenza può essere attribuita al minore approfondimento, da parte delle varie possibili fonti, di tali argomenti, a fianco, verosimilmente, di una minore percezione di essi come temi di importanza collettiva. Lo studio scolastico rappresenta la principale fonte d’informazioni, il che suggerisce che lo studio universitario possa a sua volta inserirsi efficacemente come sorgente d’apprendimento. L’eccezione alla generale scarsa conoscenza di SDGs e Agenda 2030 e delle principali tematiche legate allo sviluppo sostenibile è riferita essenzialmente a quella quota di studenti che ha partecipato ad attività specifiche in precedenza. Attualmente l’acquisizione di competenze legate allo sviluppo sostenibile risulta delegata all’auto-apprendimento o alla formazione post-laurea. L’attenzione a questi temi nei programmi di formazione universitaria attraverso l’implementazione di iniziative strutturate appare un elemento meritevole di considerazione.

A distanza di un anno e mezzo e considerando l’interposta comparsa di uno stato di pandemia legato a una zoonosi virale, l’analisi dei risultati della ricerca condotta nel 2019 permette di proporre delle riflessioni sui dati raccolti allora e su quanto lo scenario potrebbe essere cambiato, alla luce della comparsa di eventi allora impossibili da prevedere. La ricerca condotta nei nove atenei italiani, se confrontata con la letteratura già esistente relativa a esperienze di contesti accademici europei ed extra-europei, identifica alcune problematiche comuni e tratteggia atteggiamenti e profili di conoscenza consistenti tra loro per quanto geograficamente e culturalmente distanti. Su tutti, appare evidente la limitata conoscenza della sostenibilità come tematica in generale, ma ancor più ciò si delinea nel momento in cui viene esaminata nelle sue declinazioni e nella sua insita multidisciplinarietà. Gli studenti italiani, al pari di quelli di altri contesti accademici esteri, sembrano concepire tuttora la sostenibilità come un concetto prettamente o prevalentemente ambientale, ignorandone o trascurandone le fondamentali componenti sociale ed economica, e il fatto che si tratti di qualcosa che interessa, a livello reale e non solo potenziale, ogni professione. Gli studenti dell’area sanitaria, in particolare, si ritengono “estranei” più di altri al coinvolgimento nelle tematiche della sostenibilità nel contesto della propria professione. La recente pandemia di SARS-CoV-2 ha dimostrato al mondo il contrario: l’insostenibilità delle attività umane in ogni contesto e settore professionale contribuisce alla determinazione di squilibri che hanno un limite di compensazione, e si estrinsecano infine in eventi estremi, di natura non solamente ambientale o climatica, ma anche sanitaria, sociale, umana. Anche se non valutata nello studio condotto, esiste un’ulteriore problematica, persistente negli anni e negli studi condotti, che può essere sintetizzata nell’espressione “value-action gap”, coincidente con l’assenza o carenza di coinvolgimento, di partecipazione alle tematiche della sostenibilità e dello sviluppo sostenibile perché percepite come qualcosa di distante dal proprio agire personale e dalla propria responsabilità individuale, con la tendenza a demandare iniziative, decisioni, impegno e possibili rinunce a entità superiori e “distanti” quali il Governo, le organizzazioni governative e non governative, la Commissione Europea etc., trascurando il peso che ogni iniziativa, decisione, impegno o rinuncia individuale può avere sulla collettività e sulla salute del pianeta in generale. In altre parole, manca chiarezza sul concetto multidisciplinare di “One Health”, della salute (umana, animale e dell’ecosistema) come un “tutto” di cui tutti dobbiamo avere cura, e persiste la tendenza ad adagiarsi nella convinzione che le responsabilità siano da attribuire a negligenze, ignoranza e colpe altrui. Anche questo può diventare un punto di riflessione alla luce delle minori aspettative di apprendimento individuate nella categoria degli studenti di area sanitaria. L’apprendimento scolastico/accademico resta la fonte di apprendimento più diffusa oltre all’informazione autonoma da fonti web, e conferma precedenti riscontri in letteratura in basi ai quali gli studenti universitari, pur essendo più indipendenti nella ricerca delle informazioni sulle tematiche di interesse e nelle iniziative di arricchimento del proprio bagaglio culturale, apprezzano l’iniziativa del proprio contesto accademico, a livello sia di istituzione/dipartimento che nel rapporto con i singoli docenti, di creare occasioni di apprendimento su tematiche di interesse collettivo e trasversale nelle discipline, quali sono sostenibilità e sviluppo sostenibile. A ciò si sovrappone tuttavia una criticità di fondo: non essendo la sostenibilità al momento inserita in modo uniforme all’interno dei programmi didattici delle scuole secondarie e dei programmi accademici nazionali, gli studenti spesso non ricevono una formazione su queste tematiche nella forma di un corso o materia specifico, né la sostenibilità è integrata nelle attività didattiche dei singoli insegnamenti. Non si realizzano pertanto né un proposito di Education for Sustainable Development, inteso come l’attivazione di iniziative didattiche specifiche inerenti la sostenibilità, né la Sustainable Education, intesa come sostenibilità naturalmente integrata negli insegnamenti esistenti e valorizzata come “modo di vivere” l’ambiente accademico, in senso più ampio. Sono pertanto tuttora carenti elementi forniti anche per l’apprendimento della storia dello sviluppo sostenibile dai suoi inizi nell’accezione in cui è inteso in tempi odierni. Molto è lasciato all’auto-apprendimento, e in questo senso le nozioni maggiormente acquisite sono sovente quelle per le quali, al di fuori del contesto scolastico, vi è una maggiore copertura da parte dei media. È possibile, quindi, per esempio, che uno studente abbia ben chiaro cosa siano gli Accordi di Parigi sul clima del 2015 ma non abbia alcuna conoscenza riguardo al Brundtland Report, il documento che storicamente nel 1986 enunciò la definizione di sviluppo sostenibile nella sua accezione attuale. A un anno dall’inizio della pandemia di Covid-19, il momento presente potrebbe tuttavia essere ideale per riflettere sulle implicazioni di quanto accaduto: se gli stessi studenti di allora ricevessero oggi lo stesso questionario, potrebbero essere sia più sensibili che maggiormente acculturati su queste tematiche, anche in funzione della grande risonanza mediatica che hanno avuto? Lo stesso concetto di One health a cui si è precedentemente accennato, se collegato alla pandemia potrebbe risultare, quantomeno intuitivamente, più chiaro che in precedenza. Il neoeletto presidente USA Joe Biden, al momento del proprio insediamento, e ancor prima nel corso della propria campagna elettorale, ha fatto ampia leva sulla necessità assoluta di riportare gli Stati Uniti d’America in asse con la bussola della sostenibilità, nella sua più ampia accezione. Egli ha ripetutamente ribadito che non esiste una via d’uscita dalla pandemia senza considerare un piano attuativo per gli anni a venire per unire gli sforzi nazionali e sovranazionali di tutti gli Stati del mondo verso un vivere sostenibile e un pianeta sano, con risorse equamente accessibili per le popolazioni di oggi e le generazioni di domani. Il rientro degli USA negli Accordi di Parigi del 2015 è stato, non casualmente, uno dei suoi primissimi atti presidenziali. La pandemia è stata dunque un’occasione per avere la dimostrazione su scala globale che le azioni di una moltitudine di singoli individui hanno ripercussioni (in termini non solo potenziali, ma reali) su interi Paesi e continenti. È anche per questo motivo che le Università devono proseguire nella propria opera di catalizzatori della conoscenza anche su questo fronte, ideando progetti e implementando piani per forgiare al proprio interno i professionisti del vivere sostenibile che già si pone come necessità attuale, ma ben presto auspicabilmente verrà riconosciuto unanimemente come obbligo collettivo per il futuro.