Welfare e narrazioni per società e comunità inclusive

Ref. Prof.ssa Valeria Filì, Prof.ssa Laura Rizzi

Area tematica in cui convergono le discipline e gli studi di matrice economica, statistica, giuridica, umanistica e sociale che hanno ad oggetto la vecchiaia, come esperienza individuale e come fenomeno collettivo, le relazioni intergenerazionali, le narrazioni e rappresentazioni artistico-letterarie dell'ageing e dell'agesim e le loro ricadute sociali, giuridiche, economico-statistiche e culturali.

Area giuridica

  • Diritto del lavoro e diritto antidiscriminatorio
  • Diritto della sicurezza sociale
  • Sistemi pensionistici e dei servizi sanitari

Area economico-statistica

  • Analisi statistiche del burden assistenziale e delle spese sanitarie
  • Dinamiche demografiche ed epidemiologiche di popolazione
  • Analisi economiche in ambito sanitario

Area delle narrazioni e delle comunità inclusive  

  • Rappresentazioni della vecchiaia e dei rapporti intergenerazionali dialogici e di cura 
  • Dinamiche e comunicazione intergenerazionale nella “digital society” 
  • Lifelong learning e funzioni sociali, identitarie ed educative della formazione 

Workshop of the multidisciplinary group on ACTIVE AGEING

L’intervento fornirà un inquadramento delle norme di diritto internazionale generale (es. ONU, OMS) e regionale (Unione europea, Consiglio d’Europa) riferite alla tutela e promozione dei diritti degli anziani al fine di valutare le prospettive di evoluzione futura nell’ordinamento internazionale e l’opportunità di raggiungere accordi internazionali fra gli Stati per garantire livelli di tutela
Uniformi Partendo dal quadro giuridico risalente allo scorso secolo, in cui la persona in età avanzata non aveva diritto a particolari forme di tutela al di fuori di quelle previste genericamente dagli strumenti internazionali che si occupano di diritti dell’Uomo (dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948, al Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, e al Patto internazionale sui diritti civili e politici) si giungerà a valutare innanzitutto come tali strumenti sono stati declinati a livello regionale (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) per poi soffermarsi sull’evoluzione contenutistica dei diritti riconosciuti. I primi strumenti specifici a cui si farà riferimento sono quelli in tema di persone disabili, che possono trovare applicazione al soggetto in età avanzata solo se ed in quanto rientri, appunto, in tale categoria specifica. Si pensi ad esempio alla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 13 dicembre 2006, ratificata in Italia, con legge n°18 del 3 marzo 2009, il cui art. 25 specifica l’obbligo in capo agli Stati di fornire non solo i servizi sanitari necessari alle persone con disabilità, ma anche “i servizi destinati a ridurre al minimo ed a prevenire ulteriori disabilità, segnatamente tra gli anziani.” Se tale quadro normativo può garantire all’anziano non autosufficiente un livello di tutela più elevato, è evidente che però non ha effetto su quelle situazioni fisiologiche e non patologiche, nel caso la persona in età avanzata goda di un buono stato di salute, come sempre più accade anche grazie alle politiche in tema di active ageing. Pertanto un particolare rilievo verrà dato alla differenza di approccio da parte dell’Unione europea che grazie all’art. 25 della Carta dei diritti fondamentali - Diritti degli anziani, si impegna a riconoscere e rispettare “il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa e indipen- dente e di partecipare alla vita sociale e culturale” così garantendo una tutela a tutte le diverse realtà in cui la persona in età avanzata si trova e promuovendo perciò un approccio sostanzialmente diverso rispetto agli altri strumenti internazionali. L’intervento cercherà quindi di sottolineare come e perché l’approccio dell’Unione europea verso le politiche di active ageing può influenzare l’evoluzione a livello di diritto internazionale promuovendo una maggiore tutela dell’anziano al di là delle situazioni patologiche e come la differenza di approccio nei diversi Stati, ove non sia garantita una tutela più uniforme a livello internazionale, possa portare a conseguenze in tema di violazione dei diritti fondamentali nonché a conseguenze anche economiche derivanti da possibili flussi migratori volti a rimediare tale gap. L’auspicio sarà quindi verso la predisposizione di una convenzione internazionale a livello ONU che si occupi della tutela dei diritti degli anziani in maniera ampia, anche grazie ai lavori dello UN Open ended Working Group on Ageing (https://social.un.org/ageingworking-group/).

L’Organizzazione Mondiale della sa- nità stima che nel 2025 il 34% della popolazione italiana avrà un’età superiore ai 60 anni (età in cui l’OMS considera una persona anziana) [OMS, Active Ageing A Policy Framework, 2002].
La normativa privatistica, normalmente riferita alle persone anziane, è rappresentata a) dalle norme in materia di amministrazione di sostegno; b) dalla disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento. In entrambi i casi, il diritto privato viene evocato quando la persona ha già perso o sta progressivamente perdendo la sua capacità di interazione sociale. Questo approccio non è casuale, ma è frutto di una poco consapevole scelta culturale. Il diritto privato, infatti, normalmente viene presentato come il diritto che concerne la circolazione della ricchezza. Se questo poteva essere vero fino all’entrata in vigore del Codice civile, dopo l’entrata in vigore della Costituzione e ancor più dopo le Carte internazionali sui diritti fondamentali e la Carta di Nizza una tale visione è insostenibile. Il diritto privato è quel sistema di norme che si occupa principalmente di assicurare alle persone il godimento effettivo dei loro diritti fondamentali nelle interazioni sociali quotidiane.
L’active ageing, quale “processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano”, ci induce invece a chiederci quali possano essere gli strumenti giuridici per creare una “esperienza di vita positiva (…) accompagna da continue opportunità”.
La tutela della dignità della persona è l’orizzonte che una ricerca su questo tema dovrebbe prefiggersi. Per evitare il rischio che rimanga una ricerca astratta si dovrebbe partire dalla conoscenza dell’esistente. Una riflessione giuridica che non tenga conto della realtà è un esercizio mentale del tutto inutile.
Metodologicamente, quindi, la priorità dovrebbe essere data alla ricerca sul campo concernente:
le esigenze reali delle persone anziane: purtroppo la maggior parte della ricerca giuridica non tiene minimamente conto della realtà esistente sulla quale quegli studi sono destinati ad avere un impatto. Specialmente in ambito privatistico è cruciale ascoltare i bisogni delle persone per capire come lo studioso possa attivarsi per fare del diritto uno strumento di soluzione di un bisogno sociale;
le politiche sociali già messe in campo: una ricerca circa i servizi sociali esistenti in Italia e all’estero può essere un ottimo strumento di partenza per comprendere quali possano essere i supporti giuridici da affiancare a questo tipo di intervento.
È ovvio che una tale ricerca debba essere interdisciplinare: il giurista dovrebbe collaborare tanto con esperti in ambito sociologico, tanto con esperti in ambito socio-assistenziale.
Una volta chiariti i bisogni e i possibili interventi realizzabili, solo allora si potrà passare allo studio degli strumenti giuridici utili per gli aspetti privatistici rilevanti. Solo a titolo di esempio si pensi ai profili giuridici del co-housing, alla gestione delle finanze delle persone con difficoltà cognitive.
Sempre dal punto di vista metodologico, è importantissimo un approccio intersezionale, che tenga cioè conto di come nel contesto di riferimento giochino le differenti condizioni che caratterizzano la persona. Il sesso, la nazionalità, il grado di ricchezza o di povertà, la scolarizzazione, l’orientamento sessuale, sono caratteristiche che associate all’età fanno immagi- nare bisogni differenti e quindi la necessità di differenti risposte giuridiche.
A partire da queste riflessioni sul metodo è possibile indagare questioni come la discriminazione sulla base dell’età e immaginare nuovi istituti privatistici. È uno sforzo di immaginazione quest’ultimo necessario, proprio perché la maggior parte delle norme vigenti sono pensate per le persone benestanti e nella pienezza delle loro facoltà mentali e fisiche, condizioni che spesso non contraddistinguono la condizione delle persone nella fase dell’invecchiamento.

In un’Italia con una popolazione sempre più vecchia (ma che diventa “anziana” sempre più tardi), la forza lavoro progressivamente invecchia con dinamiche più spinte a causa dell’innalzamento dell’età pensionabile (in particolare a seguito della riforma Fornero, l. n. 201/2011), collocando il nostro Paese fra quelli con i lavoratori con l’età media più elevata al mondo. Il declino demografico del mercato del lavoro, con una sorta di paradosso, sinora è stato affrontato con strumenti di facilitazione all’uscita (per es. la c.d. Quota 100” e ‘scivoli’ verso la pensione), con una perdita di ruolo e di relazioni sociali. Mancano, invece, adeguati percorsi di c.d. “invecchiamento attivo”, che includano l’ipotesi di restare al lavoro finché l’attività lavorativa contribuisce al benessere della persona che lavora.
Per una crescita sostenibile del Paese, dobbiamo imparare a coltivare il lato positivo dell’invecchiamento, nel senso di prolungare la vita lavorativa, anche quale declinazione della qualità della vita nelle sue varie fasi, tenendo conto delle capacità di essere e fare delle persone.
La direzione dell’active ageing intercetta altre due traiettorie importanti: aumentare la partecipazione femminile e incrementare i livelli di istruzione e di formazione (Banca d’Italia, Con- siderazioni finali, 2019). In altri termini, adottare opportune misure di active ageing può determinare l’inclusione nel lavoro di lavoratori spesso soggetti a pregiudizi, se non vere e proprie discriminazioni: anziani, lavoratrici, lavoratori obsoleti o disabili (v. sul punto il nuovo Mater “MIND” di UniUD).
In questo frame, le politiche per l’invecchiamento attivo in Italia sono quasi assenti o inapplicate nella pratica. Fra gli strumenti utili a creare un ambiente di lavoro favorevole al prolungamento della partecipazione dei lavoratori anziani rientrano quelli che rendono l’orario di lavoro flessibile tenendo conto (anche) delle loro esigenze di vita. Fra questi, due in particolare presentano affinità ed ambiguità che è opportuno esaminare e confrontare: il tradizionale contratto di lavoro a tempo parziale (o part-time, ridisciplinato dal d.lgs. n. 81/2015) e il nuovo lavoro in modalità agile (o smart-working, introdotto dalla l. n. 81/2017). Per entrambi terremo conto non soltanto della disciplina legale, ma pure del contributo della contrat- tazione collettiva e individuale, nonché delle prassi.

L’invecchiamento demografico rappresenta uno dei fenomeni sociali più rilevanti della nostra epoca e, al contempo, uno dei fenomeni più controversi del nostro mercato del lavoro. A prescindere dal contesto lavorativo, l’impatto del cambiamento demografico investe la forza lavoro, determinando un progressivo aumento dell’età media dei lavoratori e, quindi, conseguenze sulla composizione quantitativa e qualitativa dei prestatori di lavoro. Il tema del lavoro degli anziani si pone, pertanto, con forza al centro delle politiche del lavoro contemporanee per la sua capacità di produrre delle ricadute significative sui sistemi di welfare, sulle dinamiche del mercato del lavoro e sugli stessi modelli organizzativi d’impresa. Concentrando l’attenzione sui primi due dei cennati ambiti problematici, si può osservare come, tanto nel mercato del lavoro quanto nel sistema di sicurezza sociale, i lavoratori anziani incontrino numerosi ostacoli, che ne limitano le opportunità di impiego e di ricollocazione ma che ne rendono complessa anche la fase conclusiva del rapporto di lavoro. Se si volge lo sguardo alle politiche di sostegno all’occupazione e all’occupabilità degli anziani, tendenzialmente rivolte a soggetti con più di 50 anni di età (v. Reg. UE n. 651/2014, che ricomprende tra i lavoratori svantaggiati coloro che hanno superato tale soglia anagrafica), esse risultano spesso orientate ad incentivarne l’impiego nell’area dei lavori flessibili, con il forte rischio di produrre un effetto di segregazione in una situazione di precarietà occupazionale strutturale. A tal proposto, anche la più recente riforma normativa dei contratti di lavoro (d.lgs. n. 81/2015) - in linea con le precedenti - segna una differenziazione delle tipologie contrattuali in funzione delle caratteristiche personali dei lavoratori mediante la previsione di disposizioni che legittimano trattamenti differenziati in ragione, per lo più, all’età del lavoratore. Così ad esempio, ai soli lavoratori anziani è consentito stipulare contratti a termine in deroga agli ordinari limiti numerici stabiliti dalla legge e dalla contrattazione collettiva (art. 23); essi possono, a particolari condizioni, essere parte di contratti di lavoro intermittente (art. 13) e, più di recente, anche di contratti di apprendistato professionalizzante (art. 47, c. 4). Se, invece, si osserva la fase di uscita dal mercato del lavoro, emergono tendenze contraddittorie, poiché se, da un lato, il legislatore, spinto soprattutto dall’esigenza di contenimento della spesa pubblica del sistema di welfare, ha imposto una regolamentazione sempre più severa dei trattamenti pensionistici, innalzando l’età del pensionamento e incidendo in senso restrittivo sulla misura dei benefici commisurata alla storia contributiva (v. d.l. n. 201/2011, conv. in l. n. 214/2011), dall’altro lato, le politiche occupazionali si rivelano maggiormente incentrate sul rafforzamento dei livelli occupazionali dei giovani, cui consegue, in parallelo, il potenziamento degli strumenti di fuoriuscita degli anziani dal mondo del lavoro. È proprio nelle fasi finali del rapporto, coincidenti con l’uscita dal mondo del lavoro, che l’anzianità anagrafica assume la sua massima rilevanza in considerazione di quella sorta di “doppio rifiuto” cui sono sottoposti i prestatori più maturi: rifiuto da parte del mercato del lavoro, perché ritenuti, per ragioni fisiologiche, non sufficientemente produttivi, inadeguati perché tendenzialmente meno adattabili ai mutamenti organizzativi e tecnologici e, quindi, scartati a favore dei lavoratori giovani; rifiuto da parte del sistema di previdenza, perché ritenuti troppo costosi in quanto, cessata la vita attiva, drenano il grosso delle risorse destinate alla spesa previdenziale sotto forma di pensioni e di assistenza sanitaria, a fronte di entrate contributive in decrescita per vari fattori (ritardato ingresso nel mercato del lavoro, precarietà occupazionale, disoccupazione). In proposito va osservato che, a partire dagli anni ’70, l’età pensionabile è stata correlata alla perdita presunta della capacità lavorativa, e quindi di fatto anticipata, per rispondere ad esigenze di politica occupazionale, riconducibili sostanzialmente al diffondersi delle tecnologie digitali e alla difficile adattabilità all’aggiornamento tecnologico dei lavoratori anziani, alle frequenti riorganizzazioni aziendali che hanno determinato il venir meno delle posizioni intermedie occupate proprio dai lavoratori più anziani, e al notevole costo del lavoro collegato all’anzianità di servizio. Siffatto obiettivo è stato portato a compimento principalmente mediante tre misure: le pensioni di anzianità, i prepensionamenti e la mobilità lunga, cioè tutti strumenti caratterizzati da un elevato costo per le finanze pubbliche. Dagli anni ‘90 in poi, invece, si è assistito ad un fenomeno opposto, che ha visto il progressivo e costante innalzamento dell’età pensionabile, come risposta alle modifiche strutturali del mercato del lavoro. L’inasprimento severo dei requisiti di accesso alla pensione si deve alla riforma Fornero (l. n. 214/2011), che ha portato a completamento un processo già avviato nel 1995 dalla c.d. riforma Dini (l. n. 335/1995). Con il decreto c.d. Salva Italia, espressamente ispirato ai principi di equità intra e inter generazionale, la riforma Fornero, oltre ad aver determinato il definitivo superamento del metodo di calcolo retributivo, divenuto economicamente insostenibile, ha previsto anche un generalizzato innalzamento dell’età pensionabile (per tutti, uomini e donne, autonomi e subordinati del pubblico impiego e di quello privato) puntando sulla stabilizzazione dei c.d. fattori di sostenibilità, che impongono il periodico adeguamento alla speranza di vita residua tanto dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione nel sistema contributivo, quanto dell’età di accesso alla pensione di vecchiaia . La stessa manovra del 2011 ha poi eliminato la pensione di anzianità avviata nel 1995 con l’introduzione del doppio coefficiente anagrafico e contributivo, sostituendola con la pensione di vecchiaia anticipata che di fatto la ripropone seppur con coefficienti molto più alti (nell’anno in corso la quota è pari a 106,5 per gli uomini e 105,5 per le donne). Questa scelta, invero, è stata fortemente criticata dall’attuale Governo tanto che, prima nel Contratto di Governo e poi nel d.l. n. 4/2019 conv. in l. n. 2672019, ha previsto la (re)introduzione della c.d. quota 100, cioè una sorta di rivisitazione della pensione di anzianità, pur con un evidente incremento dei coefficienti in essere al 2011 (pari a 97). In ogni caso, il ricorso ai coefficienti per l’accesso alle pensioni presuppone che i lavoratori, a monte, possano vantare carriere lavorative caratterizzate da continuità, omogeneità e pienezza contributiva: presuppongono, cioè, una realtà che ha caratterizzato forse i soli c.d. baby boomers, cioè i nati fino agli anni ‘70, ma che attualmente non trova più rispondenza fattuale. Infatti, nel corso degli ultimi venticinque anni, il mercato del lavoro e il sistema previdenziale hanno viaggiato a velocità diverse, svelando un distacco difficilmente incolmabile: ad un incremento della flessibilità occupazionale, non è seguito, infatti, un adattamento degli schemi previdenziali, rimasti, invece, invariati nel prevedere le stesse regole congegnate sul modello del lavoratore a tempo pieno e indeterminato, titolare di un percorso professionale senza interruzioni contributive ed omogeneo. Quelle stesse regole che sono ancora applicabili pure nei confronti dei lavoratori con carriere caratterizzate da discontinuità e precarietà occupazionale e che difficilmente consentiranno loro di maturare l’anzianità contributiva necessaria per accedere alla pensione di anzianità. Di fronte a tale situazione, con la consapevolezza che non è sufficiente rinviare il momento dell’accesso alla quiescenza per porre argine ai costi della spesa pensionistica, né per rendere ancora attivi lavoratori oramai anziani ma costretti a rimanere nel mercato del lavoro, il legislatore ha cercato di intervenire, soprattutto nell’ultimo biennio (in particolare con le leggi di stabilità per il 2107, l. n. 232/2016 e il 2018, l. n. 205/2017), nel tentativo, da un lato, di incidere sulla posizione contributiva per ovviare al problema delle carriere discontinue (con ricongiunzione, totalizzazione cumulo); dall’altro, di rendere meno traumatica l’uscita dal mondo del lavoro sia agevolando le riduzioni d’orario negli ultimi periodi di attività (C.d.S. espansivo e part-time agevolato), sia predisponendo passaggi graduali verso il collocamento a riposo (prepensionamento, APE e RITA). Come si vedrà in prosieguo si tratta di una normativa formatasi spesso per giustapposizioni che non sempre possono essere ricondotte a sistema, in quanto motivate da prospettive contingenti o emergenziali e che tuttavia si connotano per una considerazione comune dell’età anagrafica quale filo conduttore delle politiche di accompagnamento all’estinzione, sempre più lontana, del rapporto di lavoro.

Il trasporto di persone mediante autoveicoli non di linea ha assunto, nell’odierna realtà economica e sociale, una crescente rilevanza: si tratta di un settore in costante espansione, in cui, specie in tempi recenti, l’esponenziale incremento della domanda di mobilità, la diversificazione della stessa rispetto ai modelli del passato e lo sviluppo tecnologico dato dalla possibilità di prenotare i servizi mediante sistemi informatizzati hanno comportato, oltre alla diffusione e capillarizzazione del servizio, l’evoluzione nelle modalità di trasporto offerte sul mercato e l’emergere di nuove figure di operatori. Originariamente concepito come mero servizio integrativo e complementare rispetto al trasporto pubblico di linea (TPL), il trasporto non di linea si è progressivamente evoluto, acquisendo un rilievo autonomo, per soddisfare le nuove istanze di mobilità che caratterizzano la società attuale. Questa tendenza di sviluppo del tra- sporto non di linea si è palesata specialmente nel settore del noleggio con conducente (NCC), il quale, rispetto al servizio taxi, non è vincolato a obblighi di servizio pubblico al fine di garantire continuità, universalità e copertura territoriale, e si è dimostrato, quindi, più flessibile nell’incontrare tali cambiamenti nella domanda di trasporto. Ulteriore spinta evolutiva si è avuta grazie all’applicazione delle tecnologie informatiche, che hanno consentito nuove soluzioni per l’organizzazione della domanda di mobilità, facendo emergere nuove forme di trasporto (Uber, car sharing o car pooling ecc.) e contribuendo allo sviluppo di dinamiche concorrenziali nel settore, che hanno progressivamente reso, anche sul piano economico, maggiormente accessibile il servizio. Si tratta di un fenomeno che, se di per sé interessa l’intero contesto sociale urbano, si dimostra cruciale, in particolare, per alcune categorie di soggetti, prive di autonomia sul piano degli spostamenti o comunque fortemente limitate negli stessi (anziani, disabili, bambini), le cui peculiari esigenze difficilmente possono essere soddisfatte dalle forme tradizionali di trasporto. Particolarmente rilevante è l’impatto che lo sviluppo e la diffusione del trasporto non di linea hanno per la popolazione anziana, la quale, in ragione dell’estendersi della aspettativa di vita e del progressivo disgregarsi dei modelli famigliari di prossimità, necessita sempre più di forme di trasporto ad hoc per i propri spostamenti urbani. Si tratta di un fenomeno che interessa ogni luogo, ma che è molto significativo nei contesti in cui i servizi di TPL sono inefficienti o non sufficientemente diffusi, e dove pertanto l’erogazione di servizi di trasporto non di linea, a chiamata, può costituire la principale, se non la sola, modalità di trasporto concretamente fruibile per le persone anziane, con importanti conseguenze sulla loro qualità di vita. Da qui l’esigenza di implementare politiche che favoriscano lo sviluppo del settore, adottando strumenti normativi di regolazione del trasporto non di linea che siano idonei, per un verso, a recepire le novità nell’offerta di mobilità caratterizzata dall’uso di piattaforme digitali, e, per altro, a incrementare la stessa, al fine di consentire una riduzione dei costi di accesso al trasporto, che si può realizzare solo nel quadro di un mercato liberalizzato. Le recenti politiche legislative dello Stato italiano sembrano, peraltro, muoversi in un senso opposto a quello della apertura del mercato, come testimoniato dalla riforma della legge quadro sul trasporto non di linea, adottata con il d.l. 135/2018, modificato e integrato dalla legge di conversione 12/2019, entrata in vigore il 13 febbraio 2019, che ha introdotto una più rigida compartimentazione territoriale nell’erogazione dei servizi di NCC.

La proposta di questo contributo nasce dall’aggregazione di un gruppo di studiosi di letterature classiche e moderne (I. Caliaro, R. Faggionato, R. Giaquinta, R. Londero, R. Oniga, M. Romero Allué e K. Vaiopoulos), di filologia (C. Di Sciacca e G. Ziffer) e distoria della filosofia (B. Lotti). La nostra iniziativa muove dalla considerazione che ogni tentativo di approfondimento del tema dell’invecchiamento come questione medicoospedaliera e/o come problema di impatto sociale non può prescindere dalla narrazione che della vecchiaia e dell’invecchiamento le letterature di aree linguistico-culturali diverse e di epoche diverse hanno intessuto nonché dalla rappresentazione artistica che ne è stata elaborata e dalla riflessione filosofica che su di essi si è costantemente interrogata – da Platone e Aristotele, i due padri del pensiero occidentale che hanno inaugurato la visione dicotomica, del tutto positiva o del tutto negativa, rispettivamente, della vecchiaia che ha poi attraversato la tradizione culturale occidentale, al Cicerone del De senectute fino a La vieillesse di Simone de Beauvoir –, unitamente ai temi della memoria, del tempo, della morte e del nesso tra corpo e mente. I motivi della vanitas e dell’ubi sunt possono essere considerati dei veri e propri archetipi della letteratura occidentale: dalla retorica funebre greca alla prosa e poesia della latinità classica (Cicerone, Seneca, Tibullo, Ovidio, Stazio), dove l’ubi sunt, come motivo della transitorietà, esprime nostalgia e rimpianto per quanto di questo mondo soccombe all’azione corruttrice del tempo; alla letteratura cristiano-patristica, in cui l’ubi sunt diventa la formula retorica privilegiata del contemptus mundi, tipico del sentire tardo-antico e altomedioevale; fino al devouring time, tema pervasivo di tanta sensibilità rinascimentale, manierista e barocca (Lorenzo de’ Medici, W. Ralegh, W. Shakespeare, J. Donne, G. Deržavin, L. de Vega, L. de Góngora e F. de Quevedo). Nel romanzo moderno poi, la vecchiaia, la malattia, l’approssimarsi alla morte diventano motivi ricorrenti, declinati secondo sensibilità diverse dai grandi scrittori del panorama letterario europeo otto-novecentesco. Com’è caratteristica del genere romanzo, tali motivi si ripresentano in forma di quesiti esistenziali, collegandosi a una complessa rete di altri interrogativi non più eludibili riguardanti il rapporto dell’uomo col proprio corpo e la propria dimensione spirituale, col tempo, la memoria, il senso dell’agire, la responsabilità, il dono o la chiusura al mondo esterno. La storia del romanzo europeo, da B. Pérez Galdós a L. Alas “Clarín”, da G. Miró a J. Martínez Ruiz “Azorín”, da L. Tolstoj a I. S. Turgenev, da A. echov a J. V. Trifonov, da I. Nievo a I. Svevo e all’ultimo D’Annunzio de Il libro segreto, da V. Woolf a J. Joyce, è costellata da ritratti di ‘grandi vecchi’ attorno a cui queste tematiche si condensano, figure in cui il decadimento fisico si collega alla malattia esistenziale in chiave post-decadente, la senilità si fa metafora della condizione dell’uomo moderno, della sua inettitudine, e il topos del conflitto generazionale si ripropone anche in una prospettiva autobiografica e metaletteraria (El escritor ed El enfermo di J. Martínez Ruiz “Azorín”). Si tratta di protagonisti indimenticabili i cui creatori spesso furono a loro volta ‘grandi vecchi’, maestri di vita per lo più involontari, attanagliati dalle questioni ultime legate alla condizione senile ma anche personalità indomite e carismatiche. La nostra proposta intende, quindi, porre l’attenzione sulla necessità di integrare i contributi e le intuizioni della rappresentazione artistico-letteraria e della riflessione filosofica nella definizione di ogni progettualità relativa al tema dell’invecchiamento e nell’elaborazione di strategie di gestione, sul piano sia individuale che sociale, in rapporto a un fenomeno così complesso. Grazie al contributo delle discipline umanistiche, tale fenomeno può essere colto nelle sue molteplici declinazioni geografiche e cronologiche, nonché nelle sue specificazioni di genere e di gender, e si possono svolgere raffronti illuminanti tra l’esperienza individuale della vecchiaia nel mondo contemporaneo e la sua percezione in altre epoche storiche. Allo stesso tempo, si possono analizzare le riflessioni tradizionali avanzate su questo tema nella cultura occidentale che spesso hanno avuto una persistenza nel lungo periodo per rielaborarle o innovarle alla luce della nostra condizione contemporanea.

Le trasformazioni demografiche e l’impatto della congiuntura economica negativa impongono una riflessione sui cosiddetti “lavoratori maturi”, ovvero, su quella porzione di popolazione di età superiore ai 50 anni e considerati già dalla normativa europea “soggetti svantaggiati” nel mercato del lavoro in considerazione del solo requisito anagrafico [art.2, punto 4, lett. d), Reg.(UE) n. 651/2014].
La crescente attenzione verso i lavoratori over 50 è la diretta conseguenza del costante invecchiamento della popolazione e in particolare dell’innalzamento dell’età del pensionamento che trattiene i lavoratori più a lungo nel mercato del lavoro. Ciò che è preoccupante per questa fascia di età è la difficoltà del loro reinserimento nel mercato del lavoro; infatti elevata è la disoccupazione di lungo periodo e la durata media della ricerca di un lavoro. Per favorire il reinserimento nel mercato del lavoro e ridurre il rischio di disoccupazione di lungo periodo, la legge n. 92/2012 ha introdotto, dopo aver abrogato il contratto di inserimento, un incentivo consistente nella riduzione del 50% della quota contributiva a carico del datore di lavoro in caso di assunzione di lavoratori ultra cinquantenni e disoccupati da almeno dodici mesi con contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato, oppure in caso di somministrazione. In aggiunta agli incentivi economici disciplinati a livello nazionale, anche le Regioni hanno sviluppato politiche del lavoro e incentivi alle assunzioni per i lavoratori over 50.
Tuttavia gli incentivi alle assunzioni non sembrano essere particolarmente efficaci rispetto all’obiettivo di supportare il reinserimento lavorativo degli over 50 nel mercato del lavoro, a causa della compresenza nel nostro ordinamento di tipologie di incentivi rivolti a differenti categorie di lavoratori e che orientano le scelte imprenditoriali, a parità di condizioni, verso l’assunzione dei soggetti più appetibili sul mercato del lavoro che non sempre rientrano nell’area della svantaggio occupazionale. Per essere efficaci, invece, gli incentivi alle assunzioni dovrebbero essere con- centrati soltanto su pochi e specifici target di lavoratori sulla base delle esigenze occupazionali. Negli ultimi cinque anni le politiche per il lavoro, a ben vedere, si sono incentrate principalmente sui giovani e sui disoccupati di lunga durata a discapito di altre categorie di soggetti svantaggiati quali gli over 50 che ad oggi sono destinatari di poche e inefficaci misure di reinserimento nel mercato del lavoro.
Probabilmente potrebbero essere più efficaci nel perseguimento dell’obiettivo l’incentivazione dell’adozione di buone pratiche manageriali e di un’efficiente rete di servizi di outplacement e ricollocazione degli over 50 espulsi dai processi produttivi, accompagnati da adeguati percorsi formativi di tipo formale e informale capaci di moltiplicare le occasioni di apprendimento e riqualificazione in età adulta soprattutto di fronte alla rivoluzione digitale del mercato, che richiede un addestramento alle nuove professionalità o un adeguamento di quelle già possedute e divenute ormai obsolete.

La legge 219/2017 rivoluziona (potenzialmente) l’intero universo della salute; tuttavia essa è, in buona parte, ancora poco conosciuta e ancor meno applicata.
Al centro v’è la “relazione di cura e fiducia” che deve instaurarsi tra paziente e medico; relazione fondata su salute, dignità, autodeterminazione del primo; competenza; autonomia professionale e responsabilità del secondo.
La legge si rivolge alle istituzioni ‒ Università e strutture sanitarie ‒ quando parla di “formazione iniziale e continua” sui temi della relazione e della comunicazione con il pa ziente, delle terapie del dolore e delle cure palliative.
Si rivolge agli operatori ma, soprattutto, a chi è chiamato a organizzare il servizio e a gestire le risorse, quando afferma che “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura. Al centro v’è la persona: il suo diritto di sapere e di non sapere; il diritto di coinvolgere o meno le persone a lei vicine; il diritto di decidere in ogni momento del rapporto sanitario: dagli accertamenti diagnostici alle terapie proposte dai medici (ai quali non si può comunque chiedere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, deontologia professionale, buone pratiche clinico-assistenziali).
Decidere per l’oggi (il consenso informato) ma decidere anche per il domani: sono vincolanti le Disposizioni Anticipate di Trattamento; ancora più rilevante soprattutto con una popolazione sempre più anziana è la “Pianificazione condivisa delle cure”.
Le DAT riguardano situazioni future e ipotetiche; la PCC segue una dia- gnosi attuale e infausta. Consente all’interessato e alla famiglia, in continuo dialogo con i sanitari, di tracciare il percorso, adeguandolo all’evolversi della malattia; fino a prevedere il da farsi in caso di perdita di coscienza.
L’impatto delle PCC sulla condizione del malato, e sulla qualità della sua vita specialmente nelle ultime fasi è evidente: il dialogo, la conoscenza, la consapevolezza circa le terapie del dolore e le cure palliative consentono di instaurare un rapporto costruttivo tra paziente, famiglie e curanti; e consentono di decidere nel rispetto della personalità e delle sensibilità di tutti i soggetti coinvolti, sollevando i familiari dai dubbi e dalle angosce per le decisioni che saranno chiamati a prendere. Le PCC riducono così anche la conflittualità.

Background and Aims: This first step of the research devoted to the analysis of the health care burden of regional elderly population, in a context of the population ageing phenomenon, is aimed to provide a detailed description of time trends of per capita expenditures and number of different types of health care services provided to elderly regional population in the period 2002-2017, across geographical areas and health administrative districts. These time and spatial patterns allow a potential forecast of future burden scenarios of regional elderly population.
Data and Method: Data are relative to the all regional population aggregated at sub-municipality level (age and sex groups of persons within each municipality). Study variables are the total and per capita expenditures and number of services provided relative to 3 types of health services (drug prescriptions (F); hospital in patient services (H), outpatient services (O)). Other information on geographical and economic aspects at municipality level are included also. Descriptives on time trends of alternativeoutcome variables, together with their spatial heterogeneity have been performed firstly. Then future scenarios of regional HCE have been developed based on specific demographic assumptions. Panel models with spatial correlations may be performed furthermore to assess factors affecting time and space heterogeneity.
Results: The time trends for total HCE observed in the period 2002 – 2017 demonstrate an expected increasing trend overall. However a closer examination of the expenditure in different types of health services revelas some interesting insights. The elderly (65+) population has (sincem 2002) contributed to the majority of the overall expenditure for in patient services (H) and drug presciptions (F) and this share has increased over the examined period. But while increase in hospitalisation costs for the elderly appear to have contributed to this trend, for pharmacy expenditure the main driver of the trend seems to be an increase in the number of drug prescriptions for the elderly. The data also indicates a reversal in the otherwise increasing share of elderly pharmacy expenditure for the period 2016-2017, which appears to be due to an increase in the cost of prescriptions for the under-65 population. Additionally, in the last 5 years, the elderly have also contributed a majority share to the outpatient (O) expenditure and an increase in the cost of outpatient services seems to drive this trend.

Singapore punta sulle robotcar per affrontare la sfida dell’invecchiamento della popolazione. A Singapore si effettuano test di auto a guida autonoma in un centro specializzato con l’obiettivo di favorire la mobilità degli anziani. L’Università Tecnologica Nanyang ha realizzato una struttura apposita chiamando a raccolta molte start-up non solo locali ma anche provenienti da paesi stranieri Nell’impianto, è stato riprodotto un ambiente simile a quello urbano, una sorta di mini-town, per sottoporre i veicoli a prove attendibili. Le piste su cui transitano le automobili senza conducente somigliano alle strade di una città con tanto di semafori, strisce pedonali, segnaletica stradale e finanche una macchina del meteo che simula condizioni climatiche avverse con pioggia e tempeste tropicali. Progetti come il circuito dell’Università Tecnologica Nanyang fanno di Singapore un paese all’avanguardia nello sviluppo della tecnologia delle automobili senza conducente. Che potrebbero essere utilizzate per il trasporto e gli spostamenti di disabili e anziani. I ricercatori dell’Università Tecnologica Nanyang, più in particolare, cercano ditrovare soluzioni tecnologiche innovative per rispondere alla sfida del processo di rapido in- vecchiamento della popolazione. Dopo l’Olanda, secondo la valutazione contenuta nell’Autonomous Vehicles Readiness Index (AVRI) di KPMG, Singapore è il paese meglio attrezzato e più capace di integrare le auto a guida autonoma nei sistemi di trasporto e mobilità. Anche negli USA la sperimentazione delle auto a guida autonoma si sta sviluppando in questo senso.

La percezione dell’invecchiamento progressivo della popolazione come opportunità di crescita e di innovazione, attorno alla quale si è sviluppata la teorizzazione globale della c.d. Silver o Longevity Economy, sollecita nuove letture anche del diritto dell’impresa.
Il primo tema suscettibile di essere interessato da tale visione è il not for profit, in ragione delle possibili intersezioni tra le attività che le politiche economiche per l’Active Ageing vorrebbero incrementare, e quelle qualificate come di interesse generale dall’art. 5 del Codice del Terzo Settore, che gli Enti individuati dal medesimo corpo normativo devono esercitare in via esclusiva o principale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Si pensi, in particolare, alle attività aventi ad oggetto interventi e prestazioni sanitarie, con le quali si potrebbero soddisfare le istanze di sviluppo di nuovi settori di impresa legati alle esigenze di salute specifiche dell’età avanzata, di modo che, in una crescita congiunta con l’innovazione tecnologica, si implementino nuovi strumenti di prevenzione, diagnosi e cura anche a distanza. Si pensi altresì alle attività di educazione e formazione, professionale, universitaria e post-universitaria, nell’ambito delle quali potrebbero trovare attuazione le intuizioni di politica economica in base alle quali l’obiettivo di incrementare le prospettive lavorative di soggetti in età matura potrebbe essere utilmente perseguito promuovendo un’educazione a misura delle esigenze dei relativi soggetti. Un’intersezione può cogliersi anche rispetto all’organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso, se si considera come sulla scia della Silver Economy si discuta delle prospettive di sviluppo del c.d. Silver Tourism. In tali ambiti, e probabilmente con maggiore incidenza in quello sociosanitario, si può attendere che, in attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale, si individuino proficue forme di collaborazione tra enti locali ed enti del terzo settore, per dare risposta ai bisogni sociali specifici dell’età avanzata, rispetto ai quali l’interesse pubblico può venire a identificarsi con quello generale perseguito dagli attori del no profit. Con la recente riforma del terzo settore sono stati ampliati gli strumenti giuridici a servizio di tali dinamiche di collaborative, che trovano attuale disciplina negli artt. artt. 55 e 56, d.lgs. n. 117/17, dedicati agli istituti della co-programmazione, della co-progettazione, della convenzione e dell’accreditamento.
Sotto il profilo del reperimento dei finanziamenti necessari all’avvio e alla crescita delle imprese dedite alle attività menzionate, si segnala la disciplina del social lending di cui all’art. 78 del Codice del Terzo settore, che si inserisce nell’ambito del c.d. Fintech e segnatamente della disintermediazione del mercato del credito attraverso piattaforme on-line.
A quest’ultimo riguardo, si nota peraltro come in una chiave più generale, anche scissa dalla vocazione necessariamente non lucrativa sinora considerata, le menzionate piattaforme, attraverso le quali si realizzano le diverse note forme di crowdfunding, possano rivelarsi un utile strumento per soddisfare l’esigenza, evidenziata dai teorici della Longevity Economy, di favorire l’interazione e la connessione tra le idee imprenditoriali delle nuove generazioni e gli esponenti delle vecchie che, in uno all’interesse a giovarsene, potrebbero maturare quello a finanziarle. Le medesime piattaforme potrebbero inoltre supportare l’avvio diretto di imprese nel settore dell’invecchiamento da parte degli stessi protagonisti di tale fenomeno economico. Gli strumenti pensati dal legislatore per le start up giovanili – si pensi, oltre ai canali innovativi di finanziamento, agli incubatori di impresa - potrebbero convertirsi in strumenti per la promozione della c.d. Olderpreneurship. L’estensione del tema oltre i confini del terzo settore sembra possa avvenire anche in un’ulteriore prospettiva, per la quale può fungere da termine di raffronto l’esperienza statunitense. In questa si assiste infatti a una diffusione crescente di Benefit Corporation proprio nei settori di interesse per la Silver Economy, con conseguente evidenza di come specialmente nei relativi ambiti di attività possa avvenire una proficua coniugazione tra scopo lucrativo e non lucrativo, superando i noti limiti determinati dal non distribution constraint e spesso non compensati dai benefici fiscali concessi dal legislatore interno. Se la sensibilizzazione per il tema delle potenzialità di crescita economica legate all’ampliamento delle aspettative di vita inducesse anche nel nostro ordinamento ad avvalersi del recente istituto delle Società Benefit, privo ad ora di significativi riscontri in termini di diffusione economica, si potrebbe avere non solo un’applicazione della politica di supporto all’Active Ageing non rigidamente circoscritta alle attività di interesse generale identificate dal Codice del Terzo Settore, ma altresì la possibilità di intercettare validi manager e potenziali investitori guidati da logiche di profitto individuale. Lo stesso menzionato principio di sussidiarietà potrebbe rinvenire un ambito più esteso di esplicazione, così come potrebbe acquisire nuove e molteplici dimensioni applicative l’ampia teorica della Corporate Social Responsibility. Su un piano generale di riflessione, inoltre, potrebbe registrarsi un’esperienza storica di ibridazione delle forme giuridiche per l’esercizio dell’impresa sotto il profilo dello scopo perseguito, ricca di interessanti implicazioni sistematiche.

Con il progressivo allungamento della vita media sorge la necessità di ripensare il concetto di autodeterminazione dell’anziano secondo una linea interpretativa che, muovendo dalla tutela, giunga alla valorizzazione e alla promozione dell’identità, della personalità e della volontà del soggetto.
L’art. 25 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconosce espressamente all’anziano il diritto di condurre una vita dignitosa ed indipendente, nonché il diritto a partecipare alla vita sociale e culturale. Tali diritti, ancorabili agli artt. 2 e 3 della Costituzione italiana, investono anche il contesto familiare. Peraltro, essi devono essere declinati in ragione della capacità fisica e psichica dell’anziano e degli strumenti – per quanto di nostro interesse - che l’ordinamento italiano mette a disposizione per rispondere alle vecchie e alle nuove esigenze che si registrano in tale àmbito. Si tratta, in particolare, di bisogni, di necessità e di aspirazioni legate alla qualità della vita delle persone anziane; bisogni, necessità ed aspirazioni che inevitabilmente si riflettono sull’interpretazione e sull’applicazione di istituti già esistenti o che promuovono, anche in una prospettiva de iure condendo, indagini su nuove figure (quali ad esempio il contratto di mantenimento o di vitalizio assistenziale o il cohousing anche intergenerazionale).
Se l’anziano non è solo un soggetto che necessita di essere tutelato in quanto persona - potenzialmente od effettivamente - incapace, ma è un soggetto che, nonostante l’avanzare dell’età, è portatore di interessi e di esigenze affettive e patrimoniali peculiari allora inevitabilmente deve essere diverso l’approccio all’interpretazione e all’applicazione di taluni istituti, quali, solo per fare alcuni esempi, l’amministrazione di sostegno in rapporto all’interdizione o all’inabilitazione o anche alla mera procura; ovvero il matrimonio, l’unione civile o la convivenza di fatto, il testamento o i negozi post o trans mortem in ragione della peculiare età degli sposi, degli uniti civilmente, dei conviventi, del de cuius o dei contraenti. Non solo. Nella famiglia i legami affettivi e patrimoniali possono interessare anche generazioni diverse, da cui la necessità di una valutazione, anche in una prospettiva verticale, delle esigenze non solo di tutela (personale e patrimoniale) degli anziani, ma di valorizzazione di affettività che, nello scambio generazionale, arricchiscono tutte le componenti familiari in senso lato. In questa prospettiva basti pensare all’art. 317 bis c.c. - là dove riconosce agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti -, disposizione che, conformemente alla previsione di cui all’art. 337 ter c.c., può intendersi quale concreta espressione del diritto alla partecipazione alla vita familiare.
Da tali brevi considerazioni ed in assenza di uno “statuto giuridico” dell’anziano emerge come sia opportuno un approfondimento ed una riflessione, contestualizzata al presente e proiettata al futuro, sul tema dell’active ageing nel contesto familiare, posto che la famiglia o meglio le famiglie secondo una lettura pluralista sono luoghi privilegiati di relazioni affettive e patrimoniali anche tra generazioni diverse.

Background And Aims: in the context of increasing life expectancy and enlargement of the elderly population, the assessment of time and spatial patterns of over 65 population health care need is a key step in order to better manage public resources. The aim of this study is to highlight the existence of spatial heterogeneity in the elderly healthcare burden, comparing alternative modeling approaches also, in the context of Regione Friuli Venezia Giulia (FVG).
Data And Method: data on estimated health burden in 2017 and 2018 were aggregated on age classes within each municipality. On each unit is observed the population, the ratio between males and females, and the death rate, the counts of 21 chronic conditions and the ones of six levels of the RUB indicator. Further data was on regional expenditures for health care services (Pharmaceutical, Hospital and Outpatient types) in years from 2002 to 2017. firstly a descriptive analysis both of ageing phenomenon and of health care expenditures trends has been performed. Then availability of the RUB1 indicator provided in the ACG System, allowed to compare observed healthcare expenditures (HCE) with the estimated healthcare burdens. In particular different spatial econometrics models have been compared to explore spatial heterogeneity of the differences between demand (HCE) and health need (RUB). The analysis focues both on all population and on elderly population only.
Results And Conclusions: While HCE does not present any spatial pattern, the RUB indicator is characterized by some strong geographical clusterization even after controlling for the demographical structure of municipalities. In order to model this spatial heterogeneity an SDM specification is chosen after an appropriate set of tests. The spatial patterns of morbidities play an important role in the explanation of the healthcare burden, together with the economic characteristic of the municipality. Estimating the model just on the over 65 population, provides further insights on the diseases mostly influencing the healthcare burden, namely age macular degeneration, human immunodeficiency virus and low back pain. Moreover, the analysis on elderly points out surprsingly that elderlies living in areas with higher shares of elderly population result healthier than their peers in other areas and need less resources.

L’età media avanzata dei dipendenti pubblici ed il loro progressivo invecchiamento pone sfide rilevanti, specialmente nell’ambito delle professioni sanitarie. Il lavoro pubblico in sanità è regolato, oltre che dal Testo Unico sul pubblico impiego (D.lgs. n. 165/2001), dalla specifica disciplina di settore e dai contratti collettivi, nazionale e aziendali (v. in www.aranagenzia.it). L’inquadramento delle risorse umane è disciplinato dal contratto collettivo nazionale, mentre le politiche relative alla gestione delle risorse umane avvengono in sede aziendale.
Dai profili più operativi (o.s.s., personale infermieristico, di assistenza domicilare) a quelli più elevati (sino alla dirigenza medica) si ritiene necessario indagare una via per conservare la professionalità (e la produttività) di soggetti sempre più anziani, sottoposti ad impieghi assai faticosi e in tutti i casi turnisti.
Infatti, gli strumenti classici di inclusione delle diversità (quali la rimodulazione dell’orario di lavoro, part time, flessibilità) sono stati sino ad oggi declinati per conciliare esigenze familiari (genitorialità, assistenza a familiari con disabilità…), non, invece, per consentire alla PA e al personale una miglior gestione dell’età matura e dell’invecchiamento.
La ricerca vuole individuare gli strumenti già esistenti nella disciplina di riferimento (in particolare, nella contrattazione collettiva), al fine di valutarne l’idoneità rispetto al mantenimento della professionalità e produttività delle risorse umane operanti nel settore sanitario.

Il dibattito pedagogico sull’educazione permanente ha da tempo evidenziato i legami specifici fra questa e i temi dell’apprendimento delle persone anziane, nonché la rilevanza che entrambi tali aspetti possono avere nel contesto di buone pratiche di active ageing (cfr. ad es. Baschiera 2014, Radovan, Krašovec 2014). Fra gli altri temi è stato evidenziato che:
-gli ambienti e i progetti che promuovono l’apprendimento delle persone anziane possono costituire una risorsa per tutta la società e non solo per l’età anziana (Tramma 2017)
-il dialogo intergenerazionale può svolgere un ruolo importante nella costruzione di comunità territoriali sempre più coese e inclusive (Deluigi 2014), anche all’interno di contesti educativi segnati da crescente eterogeneità culturale (Baschiera et al. 2014, pp. 158 sgg).
Alcuni elementi che sembrano poter confermare tali prospettive sono emersi anche nell’ambito di un recente studio su «Modelli pedagogici e pratiche educative in scuole dell’infanzia e primarie socialmente e culturalmente eterogenee», condotto presso il DILL dell’Università di Udine. Da tale ricerca, pur non finalizzata all’ambito della pedagogia dell’età anziana, sono emersi – in particolare nelle modalità di rapporto fra scuola ed extrascuola – alcuni primi riferimenti ad attività e collaborazioni avviati dagli insegnanti che sembrano poter rivestire una rilevanza in prospettiva intergenerazionale (progetti con/per le persone anziane del quartiere, ruolo dei nonni, collaborazioni con associazioni). A partire anche da questi riferimenti è possibile ipotizzare ulteriori percorsi di ricerca interdisciplinare esplicitamente finalizzati a esplorare – mediante metodologie qualitative come l’intervista, le mappe di comunità, la ricerca-azione – pratiche intergenerazionali nelle quali il coinvolgimento, l’apprendimento e la socializzazione della componente anziana della popolazione possano essere occasione per sperimentare nuove forme di cittadinanza attiva specialmente in contesti ad alta complessità linguistica e socioculturale.
Fra le azioni possibili:
individuazione, approfondimento e documentazione di pratiche già in essere a livello locale che possano essere considerate strategiche per i processi di promozione di comunità in contesti eterogenei (quali ad es. doposcuola, progetti “pedibus”, orti di comunità, animazione e/o letture in biblioteche/ludoteche ecc.);
progettazione di appositi momenti di formazione rivolti sia operatori educativi (educatori, insegnanti ecc.) che a altri professionisti e/o volontari attivi sui territori in progetti di promozione di comunità e di formazione di/con persone anziane.