Nominativi ammessi al voto

La Commissione, istituita dal rettore per la denominazione della Scuola Superiore dell'Università di Udine, ha esaminato le proposte giunte nella prima fase del percorso e ha scelto i seguenti 13 nominativi, pronti per la votazione da parte dell'elettorato attivo.

 

Angelo Angeli

Descrizioni pervenute

Angelo Angeli nacque a Tarcento in provincia di Udine, il 20 agosto 1864. Si dice che fin da giovane dimostrasse un forte interessamento per la chimica, forse favorito da uno zio materno, Giovanni Carnelutti (1850-1901), studente al Politecnico di Vienna e poi allievo del Cannizzaro. Si diplomò all'Istituto Tecnico di Udine e, dopo aver prestato il servizio militare, si iscrisse all'Università di Padova. Qui ebbe un incontro, decisivo per la sua vita futura, con Giacomo Ciamician (1857-1922). Ciamician riconobbe in Angeli un'intelligenza non comune e quando si trasferì a Bologna, nel 1889, lo volle con se', come assistente, pur non essendo ancora laureato. Si laureò a Bologna nel 1891 e nel 1893 gli venne conferita la libera docenza. Nel 1895 fu primo al concorso per una cattedra di Chimica Docimastica per l'importanza dei lavori pubblicati, ma non avendo titoli specifici nella materia, il concorso venne annullato con grave danno per la chimica analitica applicata. Amico di Adolfo von Baeyer (1835-1917) presso il quale si era recato per un certo periodo nel 1894, fu da questo convinto ad accettare la cattedra di Chimica Farmaceutica a Palermo nel 1897 e a continuare nelle ricerche poiché intuiva nell' Angeli una sicura promessa per la scienza italiana. Di carattere schivo e timido non partecipò mai a congressi e mai parlò in pubblico e questo suo difetto non giovò certamente alla sua fama in Italia. R. Willstaetter (1872-1942), Premio Nobel nel 1915, scrisse di Angeli nel 1925: L'opera del Prof. Angeli supera quella di tutti i chimici italiani, e per la sua originalità e per il suo alto valore è degna della più alta distinzione. Notevoli furono i risultati nel campo della chimica dei composti con l'azoto che trasformarono radicalmente ciò che in questo campo era la base della scuola tedesca. Questo poderoso complesso di ricerche e le fondamentali conclusioni cui le stesse hanno portato, determinarono numerosi riconoscimenti dell'opera svolta dall'Angeli da parte di Università ed Enti sia italiani che stranieri. Tra le varie onorificenze attribuite all'Angeli si ricordano il premio reale dell'Accademia dei Lincei (1906), il premio Cannizzaro (1911), la nomina a membro dell'Accademia di Uppsala e della Società chimica germanica, la medaglia d'oro di benemerenza della R. Marina (1928), la Croce dell'ordine civile di Savoia.  Un chimico sfuggente e di grande umiltà che ha lasciato segni indelebili della sua passione per la chimica, dimostrando la grande capacità dell%u2019eccellenza scientifica italiana nel mondo. Un mito mai troppo emulato. Il 22 giugno 1968, in occasione del 10mo Congresso Nazionale della Società Chimica Italiana, fu scoperta una lapide sulla casa natale di Angelo Angeli a Tarcento. La lapide, dettata dal prof. Livio Cambi, reca “Ad Angelo Angeli  1864-1931  figlio del forte popolo del Friuli geniale rivelatore  di concezioni precorritrici della chimica moderna  studiosi e tecnici italiani partecipanti  al X concresso nazionale di chimica alla sua terra convenuti memori dell'opera imperitura con devozione sulla casa natale questa lapide posero. 22 giugno 1968.”

Motivazioni pervenute

Studiare alla Scuola Superiore "Angelo Angeli" dell'Università degli Studi di Udine sarà sicuramente uno stimolo per raggiungere i più alti valori della cultura. Lo "scienziato timido" Angelo Angeli, che la scomparsa prematura ha sicuramente impedito gli venisse conferita l'onorificenza più grande per uno scienziato, il premio Nobel, rappresenta un esempio di eccellenza nel campo della ricerca scientifica. Il metodo di indagine severamente consono agli insegnamenti galileiani e il costante e infaticabile lavoro che hanno caratterizzato la ricerca di Angelo Angeli sono parte del patrimonio scientifico che hanno oggi piena cittadinanza in tutte le scienze: naturali, matematiche, fisiche, letterarie, linguistiche, economiche e giuridiche, solo per citarne qualcuna. Se oggi esiste un'Università nel Friuli è dovuto anche ai semi che questi scienziati friulani piantarono con tenacia ma nel massimo rigore nei secoli scorsi. Infine questi semi, nel terreno fertile, sono germogliati e oggi dopo diversi anni si può affermare che la "pianta" è robusta e in grado di affrontare e sopportare le intemperie senza problemi. Il fatto che Angelo Angeli non sia così conosciuto a un vasto pubblico fuori dagli ambienti culturali non è a mio avviso un problema. Anzi, potrebbe e dovrebbe stimolare uno studio interdisciplinare sulla ricerca scientifica in questa regione negli ultimi secoli. Oltre alle diverse tesi di laurea possibili, i risultati di questi studi dovrebbero quindi essere pubblicati in articoli, memorie, libri da presentare anche al grande pubblico in un convegno internazionale. Penso che l'Università degli Studi di Udine sia in grado di affrontare, anche con il sostegno del territorio, questo importante momento di scoperta delle proprie origini. I futuri aspiranti, sia italiani che stranieri, troveranno nel nome della Scuola la motivazione ideale per sostenere il loro impegno didattico e stimolare la conoscenza scientifica e rigorosa. I docenti della Scuola, dovranno tenere conto della loro missione di insegnamento superiore e promuovere la conoscenza a tutti i livelli e in tutti i campi. Grazie al suo carattere internazionale, alla formazione di eccellenza e alla comunità scientifica, la Scuola Superiore "Angelo Angeli" si può sicuramente affermare come punto di riferimento in Italia e all'estero. La collaborazione con altri enti pubblici e privati, centri di ricerca e culturali, nazionali ed internazionali per sviluppare, diffondere e valorizzare i risultati della ricerca scientifica saranno il valore aggiunto di questa istituzione, così come l'eventuale "federazione" con altre Scuole Superiori italiane e straniere.


Bonaldo Stringher

Descrizioni pervenute

Breve Profilo biografico di Bonaldo Stringher (Udine 18 Dicembre 1854 -Rome, 24 Dicembre 1930). Nato nel 1854 da una modesta famiglia di Conegliano emigrata a Udine, si diplomò in economia presso la Scuola superiore di Commercio di Venezia, l'odierna Ca' Foscari.  Nel 1888 divenne libero docente di Scienza delle finanze all'Università di Roma. Capo dell'ufficio per la legislazione doganale (1884), direttore generale delle gabelle (1891), ispettore generale del Tesoro, preparò la legge bancaria del 1893.  In riconoscimento appunto dei servizi prestati nella riforma degl'istituti di emissione, fu nominato consigliere di stato nel 1898.  Fu poi eletto deputato nel 1900. Dopo questa breve parentesi politica, nel novembre dello stesso anno divenne Direttore generale della Banca d'Italia dove con cariche diverse restò per circa trent'anni ricoprendo un ruolo fondamentale, di manovra, nella vita economico-finanziaria italiana, durante la fase di avvio del suo sviluppo. Nel 1901 fu nominato socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei.  Nel 1919, succedendo a Francesco Saverio Nitti, fu ministro del Tesoro nel governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.  Nel 1928, quando venne istituita questa carica, e fino al 1930 (anno in cui muore), fu il primo Governatore della Banca d'Italia. I trent'anni nei quali, con ruoli diversi, diresse l'Istituzione, richiesero un grande impegno per le difficili questioni di quel lungo periodo: lo sviluppo industriale nazionale, le esigenze finanziarie della Grande guerra e l'inflazione successiva, l'unificazione del potere di emettere moneta.  Le fasi più salienti della sua attività di finanziere sono pertanto inscindibilmente connesse alla storia d'Italia. Non tralasciò tuttavia nel frattempo gli studi compilando acute e lucide monografie su argomenti di vivo interesse nazionale. Alla sua memoria è stata intitolata, anche, una prestigiosa borsa di studio offerta dalla Banca d'Italia ai neo-laureati che intendono perfezionare gli studi in campo economico. Scrisse numerose opere di carattere prevalentemente finanziario, tra cui: 

  • Note di statistica e di legislazione comparata intorno alla circolazione monetaria dei vari paesi (2 voll., 1883);
  • Su la bilancia dei pagamenti tra l'Italia e l'estero (1912);
  • Gli scambi con l'estero e la politica commerciale italiana, dal 1860 al 1910 (1912);
  • Memorie riguardanti la circolazione e il mercato monetario (1925);
  • Unificazione dell'emissione e deflazione cartacea (1926);
  • Il nostro risanamento monetario (1928). Di particolare interesse sono poi le sue Relazioni annuali all'assemblea degli azionisti.

Motivazioni pervenute

La Scuola Superiore è nata per accogliere gli studenti più meritevoli e più motivati, quelli che dovrebbero essere un esempio per tutti gli altri studenti dell'ateneo. Pertanto anche il nome scelto deve essere coerente con questo compito fornendo uno stimolo agli studenti a dare il meglio di sé e a costruirsi un futuro illustre. Penso che il nome di Bonaldo Stringher sia all'altezza del compito. Bonaldo Stringher è stata una persona di alto profilo, che ha dato contributi in più campi (non solo ministro del Tesoro e Governatore della Banca d' Italia ma anche membro della Accademia dei Lincei), e ritengo che intitolare a lui la scuola superiore sarebbe uno stimolo per gli studenti della scuola stessa.  I temi delle sue pubblicazioni sono molto attuali, e potrebbero essere di grande ispirazione per gli studenti che vivono in mondo globalizzato e pieno di sfide, così come lo era il mondo in cui è vissuto Bonaldo Stringher. Il mercato monetario, la circolazione delle merci e gli scambi con l'estero sono temi di scottante attualità e non solo per gli studenti di economia o ingegneria gestionale, ma sono temi che toccano da vicino tutti gli studenti dell'Università di Udine a prescindere dal campo di studi prescelto.  Dedicare la scuola superiore a lui sarebbe un modo per mostrare come l'università che è proiettata in mondo, quello della conoscenza, che non ha confini non si dimentica delle sue radici locali, ma anzi trae forza e vigore dal ricordare chi ha saputo fare della cultura e dell'impegno il proprio obiettivo.  Le radici non solo non sono un ostacolo ad ampliare i propri orizzonti ma anzi rappresentano un ponte verso un mondo sempre più globalizzato.  Inoltre essendo Stringher una persona nata da una famiglia di modeste origini che ha saputo farsi strada ed arrivare a dirigere una delle massime Istituzioni che ci siano in Italia, solo con il suo impegno, ossia mettendo a frutto le sue capacità e i gli studi condotti, penso che sarebbe un ottimo esempio per tutti gli studenti e uno sprone ad applicarsi e a cercare di mettere a frutto quanto appreso durante gli studi per farsi strada senza cercare scorciatoie. Sono sempre stata stupita che la città di Udine non abbia fatto nulla per ricordare questo suo illustre concittadino. Che io sappia a Udine c'è solo una scuola secondaria (un istituto alberghiero per l'esattezza) dedicata a Stringher. La Banca d'Italia invece gli ha dedicato una delle borse di studio più prestigiose che ci siano in campo economico. Mi auguro che sia l'Università che la città di Udine ritrovino l'orgoglio di avere un concittadino così prestigioso.  Dedicare a lui la Scuola Superiore garantirebbe sicuramente una ottima visibilità presso il pubblico sia italiano che straniero.


Carlo Sgorlon

Descrizioni pervenute

“La parola Nord-Est fu inventata da me, per indicare il Friuli, che in effetti è il Nord-Est più Nord-Est che ci sia. “ (Carlo Sgorlon, Il Messaggero Veneto, 17 maggio 1998)   Carlo Sgorlon (Cassacco, 26 luglio 1930 -Udine, 25 dicembre 2009) è stato uno scrittore italiano.  Secondo di cinque figli, nasce a Cassacco, un piccolo centro a pochi chilometri da Udine, da Antonio (sarto) e Livia (maestra elementare). Trascorre il periodo della giovinezza prevalentemente in campagna, assimilando la cultura del Friuli rurale, che tanta parte rappresenterà nella sua produzione letteraria.  Dopo un inizio di studi incostante (assieme allo scienziato Ardito Desio, il campione del mondo di pugilato Primo Carnera e, in tempi più recenti, il presidente dell'Udinese Dino Bruseschi e il poeta Leonardo Zanier) si annovera tra gli allievi illustri del Collegio di Toppo-Wassermann, compiuti i diciotto anni viene ammesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa, presso la quale si laurea in Lettere con una tesi su Franz Kafka. Poi si trasferisce in Germania per la specializzazione, che consegue a Monaco di Baviera. Subito dopo ha inizio la sua attività di insegnante di Lettere alla scuola secondaria e parallelamente di scrittore. Sposato con Edda Agarinis, Sgorlon si è trasferito a Udine dove ha vissuto per tutto il resto della propria vita.   Morì il giorno di Natale del 2009. Riposa nel cimitero di Raspano, frazione del suo comune di nascita il quale, nel 2011, gli ha dedicato un concorso fotografico intitolato Lo sguardo di Carlo.  Florida la sua produzione: numerosi i romanzi (anche in lingua friulana), i racconti e i libri di saggistica, tradotti in decine di lingue, tra cui il cinese. Nella sua brillante e insaziabile curiosità per la conoscenza si occupò anche di teatro e di traduzione. E' autore di più di mille articoli sugli argomenti più vari stampati su moltissimi giornali e riviste; più di cento gli articoli su scrittori ed artisti friulani. Sull'opera di Sgorlon sono state scritte molte tesi di laurea, sia in Italia che all'estero, dalla Polonia al Cairo fino alla Cina.  L'autore ha vinto oltre quaranta premi letterari, tra cui: Il Supercampiello (due volte), Lo Strega, Il Napoli, Il Flaiano, Il Nonino, L'Isola d'Elba, L'Hemingway, Il Latina, Il Fiuggi, Le Palme D'oro, Il Tascabile, Il Basilicata, Il Penne, Il Taranto, Il Vallombrosa, Il Casentino, L'Enna, Il Rapallo, il Rosone d'oro, il Regium Julii e lo Scanno.

Motivazioni pervenute

I suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati, le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi risananti del mondo. “Comincerò col dire che io sono uno di quegli scrittori fortunati, secondo la celebre frase di Balzac, che hanno una provincia da raccontare. Fortunati perché possiedono delle radici, ed hanno alle spalle una cultura, una storia, una tradizione, un popolo, nei quali si riconoscono, dentro i quali riescono a rintracciare i lineamenti della propria identità. Fortunati perché sanno chi sono, possiedono un habitat, una collocazione precisa nella infinita varietà del mondo reale”. Così Carlo Sgorlon si descrive nella conferenza del 1982 (Il Friuli nella mia narrativa) inquadrando la propria identità, chiave di volta della sua concezione di vivere/scrivere. Tra il livello profondo del soggetto/uomo ed il livello di scrittura con i modelli culturali si colloca in maniera filtrante la cultura locale tale da renderla comprimaria rispetto agli altri elementi in un concezione solistica legata ai topoi accumulati nel corso dell'intera esistenza.  La battaglia per la conservazione delle radici e per la restituzione dei luoghi alla loro vocazione millenaria appare come una metafora e insieme una ragione universale e che unisce i popoli legati alle proprie autentiche storie e tradizioni. Carlo Sgorlon esalta l'irrealtà della realtà del Friuli perché, se si parla di questa terra, non si sa mai se si tratti di Italia, Austria o di un paese Slavo, culture che hanno lasciato una impronta nell'identità che spesso viene trascurata dai "dominatori di turno", ma fortemente radicata nel suo popolo. Il paesaggio friulano è l'ancora a cui è possibile aggrapparsi per recuperare la speranza di salvezza e di redenzione nell'apocalisse del presente in cui sembra essere sparito l'amore per le proprie origini. Sgorlon è un aedo della sua terra, a volte la dipinge come un luogo in cui avvengono fatti luttuosi per la popolazione, come nel caso del romanzo La foiba grande o de La tribù e come un mondo incantato sospeso in un dimensione magica tale da creare un filo ideale tra le sue storie e il mondo incantato di Garcia Marquez: lo stesso Sgorlon friulano ha ammesso che, seppur involontariamente, nei suoi romanzi c'è anche un po' di Marquez, quello che li accomuna è lo sostrato di movimento.  La biografia (le umili origini e l'infanzia trascorsa nelle campagne friulane), e la formazione dell'autore (gli studi compiuti al Toppo Wassermann e proseguiti alla Scuola Normale di Pisa) ne denotano l'aderenza ai valori e alle finalità perseguite dalla Scuola Superiore dell'Università di Udine. Il costante richiamo alle origini e il forte attaccamento al territorio di Sgorlon esprimono con forza la peculiarità della nostra Scuola Superiore, istituto di eccellenza fortemente radicato nel contesto friulano di un'Università nata dal popolo, per il popolo.   [nota personale: sono nata e cresciuta in prossimità di Via Mantica; sin da bambina ricordo Sgorlon passeggiare per queste strade -assieme alla moglie (tuttora vivente e ospite assidua delle conferenze di ambito letterario che si svolgono proprio al Toppo-Wassermann) risiedeva in Via Micesio, in prossimità del quartiere dove sorge il Palazzo di Toppo-Wassermann -e ricordo nettamente la giornata del suo funerale, in cui la Chiesa di San Quirino (via Gemona) era gremita di persone "normali", residenti in zona, che consideravano con orgoglio l'illustre e umile Carlo "uno di loro"]


Excelsa Iulii

Descrizioni pervenute

La denominazione proposta è in latino. Si traduce letteralmente come "Le cose di grado elevato di Giulio", ma evidentemente va interpretata in senso lato. Il sostantivo "excelsa" (plurale di "excelsum") si trova in molti testi in lingua latina (specie di carattere religioso) e viene tradotto come "alture", "monti", "cielo", "altari", "eminenze". In ogni caso, indica qualcosa di molto elevato, sia in senso materiale che figurato. Nella denominazione proposta, al termine "excelsa" si desidera attribuire il significato di cose che si elevano ben oltre il livello medio, ovvero di "eccellenze" (rispetto al termine "excellentiae", forse più appropriato, "excelsa" è più consonante con "Iulii"). E' tuttavia il caso di verificare con un latinista esperto che la locuzione "Excelsa Iulii" non si presti a traduzioni improprie (e ridicole) come "I monti di Giulio" o "Gli altari di Giulio".  Per quanto riguarda il genitivo "Iulii" (di Giulio), questo fa riferimento a "Forum Iulii" (il mercato, la piazza di Giulio [Cesare]", l'antico nome della città di Cividale che fu poi esteso all'intero Friuli durante la dominazione longobarda (569-776 d.C.). Interpretata in senso lato, la denominazione proposta potrebbe dunque leggersi come "Le eccellenze del Friuli". Ma anche questa traduzione appare riduttiva e fuorviante rispetto al concetto evocato da "Excelsa Iulii". Infatti, "Le eccellenze del Friuli" potrebbe far pensare ai prodotti tipici della Regione o comunque a quanto di meglio, anche in senso culturale, può essere espresso dal territorio friulano. Invece, "Excelsa Iulii" pone l'accento sulle eccellenze in quanto tali, salvo poi "targarle" Friuli. Meglio ancora, queste eccellenze assolute vengono ricondotte alla progenie di Giulio, ovvero ai più alti valori della cultura classica su cui si fonda l'enorme contributo di civiltà e conoscenze che tutto il mondo riconosce al nostro Paese (anche se, purtroppo, riferito a tempi lontani). Pertanto, una traduzione molto "libera", ma più aderente a quanto si vuole esprimere con la locuzione "Excelsa Iulii", potrebbe essere "Le vette del sapere che nascono in Friuli come espressione dei più alti valori della cultura italica".

Motivazioni pervenute

L'uso del latino "nobilita" e universalizza la denominazione. E' immediato il riferimento ai grandi valori della cultura classica che, pur nella loro universalità, vengono ricondotti alle loro origini italiche. Il nome contiene un importante riferimento al territorio che tuttavia non pare in contrasto con la proiezione internazionale della Scuola. Infatti, il termine "Iulii" non evoca un'idea di ristretto regionalismo (perché è in latino, fa riferimento a Cesare e non riproduce esattamente il nome della Regione), ma pare adatto a collocare la Scuola nel contesto geografico da cui parte l'offerta formativa di punta. L'accento su "Excelsa", che precede "Iulii", evoca l'idea di elementi di eccellenza assoluta, che si qualificano in quanto tali, e che solo per una opportuna e doverosa distinzione vengono riconosciuti come "figli di Giulio" (del Friuli, certo, ma ancor più della cultura classica). La lettura corretta della denominazione proposta non potrà dunque essere "La Scuola Superiore è il meglio della formazione accademica che il Friuli è in grado di esprimere", bensì sarà "In Friuli esiste un istituto accademico superiore che produce eccellenze assolute ispirandosi ai più alti valori della cultura italiana e che, come tale, è pronto a confrontarsi con analoghe Scuole anche in ambito internazionale". La denominazione proposta è semplice, gradevole da pronunciare e facile da memorizzare, ciò che potrà contribuire a un favorevole impatto sul pubblico e sulla popolazione studentesca. Nel contempo, questa denominazione non appare pretenziosa. L'ostentazione del nome è un rischio reale da cui guardarsi, potendo generare effetti avversi nei confronti di una istituzione ancora poco nota in ambito sia nazionale che internazionale. Infine, il nome "Excelsa Iulii" non ha un legame con l'attualità o uno specifico momento storico. La memoria dell'uomo è notoriamente corta e una denominazione che oggi può sembrare di sicuro effetto, per esempio perché cavalca l'onda di eventi di grande impatto sull'opinione pubblica, domani potrebbe apparire sbiadita o addirittura non riconoscibile (a meno che sia la grande affermazione della stessa istituzione a "fissare" e perpetuare il nome che porta). Anche il riferimento a un personaggio, per quanto illustre, della storia o della cultura esporrebbe al rischio di ripetizione (scarsa riconoscibilità) o di anonimato su ampia scala (nel caso si optasse per la celebrazione di una eccellenza "locale").


Francesco Bacone

Descrizioni pervenute

Sir Francis Bacon, dapprima latinizzato in Franciscus Baco(nus) e poi italianizzato in Francesco Bacone (Londra, 22 gennaio 1561 –Londra, 9 aprile 1626), è stato un filosofo, politico, giurista e saggista inglese vissuto alla corte inglese, sotto il regno di Elisabetta I Tudor di Giacomo I Stuart.
Formatosi con studi in legge e giurisprudenza, divenne un sostenitore e strenuo difensore della rivoluzione scientifica sostenendo il metodo induttivo fondato sull'esperienza.
Nel 1573 a 12 anni iniziò a frequentare il Trinity College di Cambridge, ma dopo tre anni se ne allontanò generando un'accesa ostilità verso il culto di Aristotele volendo allontanare la filosofia dalla disputa scolastica per portarla su campi più pratici. Francesco Bacone entrò nel giugno del 1576 nel Gray's Inn di Londra, una delle scuole dove si formavano i giureconsulti e gli avvocati.
Tre mesi più tardi partiva per la Francia al seguito di sir Amias Paulet nuovo ambasciatore alla corte di Enrico III: della Francia ebbe un'impressione negativa della quale resterà traccia nelle Note sul presente stato della cristianità (Notes on Present State of Christendom) composte nel 1582. Nelle Note dice che il re gli pare un uomo dagli sregolati piaceri, dedito alle danze, ai festini, alle cortigiane, la Francia un paese profondamente corrotto, male amministrato, povero e prossimo alla rovina.
La sua carriera politica lo vede ricoprire la carica di Solicitor general nel 1607, Attorney general (Avvocato generale) nel 1613, membro del Consiglio privato della Corona nel1616, lord guardasigilli nel 1617, lord cancelliere nel 1618; fu quindi ammesso tra i pari come barone di Verulamio e visconte di Sant'Albano (1621). Nel 1621, dopo essere stato incarcerato per una condanna di peculato da cui comunque fu graziato dal re e scarcerato dopo qualche giorno di prigionia, si ritirò a vita privata dedicandosi esclusivamente ai suoi studi ed alla stesura delle sue opere attraverso le quali esercitò una forte influenza nel mondo politico e culturale.

Motivazioni pervenute

A mio parere la figura di Francesco Bacone incarna molto bene i valori di universalità e cultura generale che dovrebbe possedere un insegnamento di scuola superiore. Tale uomo è nato come politico, possedeva conoscenze di tipo legislativo, e aveva idee filosofiche-scientifiche che gli garantivano una conoscenza vastissima, e alla quale noi dovremmo aspirare. La motivazione che Voi suggerite alla denominazione, è quella di rispecchiare la volontà di sviluppare l’Ateneo di Udine come “un centro di conoscenza e ricerca in tutti i campi”. Sono uno studente di ingegneria ai Rizzi, appassionato di filosofia, di conseguenza la mia motivazione è puramente di carattere scientifico, con conoscenze a livello scolastico della filosofia. Io propongo il suo nome semplicemente partendo da una delle sue massime: “natura non nisi parendo vincitur”. Tale massima, secondo me, racchiude l’essenza dell’esistenza e del sapere umano.
Riuscire ad esprimere in poche parole un concetto così ampio e vasto, in un’epoca di profondi mutamenti del sapere e di continue scoperte scientifiche, ha dell’incredibile. “La natura non può essere vinta se non obbedendo alle sue leggi”. Tale frase esprime la consapevolezza, per Bacone, che l’uomo non è altro che un elemento, un costituente della natura stessa. È come se, l’uomo, venisse inteso di pari importanza a un albero, piuttosto che a un filo di erba, poiché l’essere umano non potrà mai prevalere sulla natura, e, come un albero, è costretto a sottostare alle leggi vincolanti della natura.
Il concetto di potenza della natura è ben visibile nella nostra epoca: viviamo in un’epoca di profondi mutamenti climatici, mutamenti causati quasi essenzialmente dall’uomo, il quale ha cercato di dominare la natura, spingendosi però troppo in là rispetto a dove avrebbe dovuto fermarsi. Le catastrofi naturali sono la diretta conseguenza. La natura può essere considerata dall’uomo solo come un padre da affiancare, da cui imparare e il quale esige, giustamente, profondo rispetto. Nel momento in cui tale rispetto viene meno, oppure i ruoli si invertono, è giusto che il “figlio venga punito”. È un filosofo empirista della rivoluzione scientifica, esso ha incentrato la sua riflessione nella ricerca di un metodo della conoscenza della natura di tipo scientifico, basato sulla ripetibilità degli eventi.  È solo grazie al concetto di “ripetibilità” che la Fisica si è sviluppata come tale. Senza di essa noi, dei fenomeni naturali, non conosceremmo nulla. Questo per dire che è inutile cercare di definire qualcosa che accade in natura se nemmeno si conoscono le cause; fare ipotesi basate su supposizioni e senza avere nessuna conoscenza né di carattere generale, né di carattere scientifico, è pura ciarlataneria. È come parlare del “sesso degli angeli”; se uno è ignorante in materia, tanto vale che se ne stia zitto. Però nessuna ci vieta di migliorarci quotidianamente dal punto di vista culturale, al fine di non sentirci ignoranti. L’onniscienza non esiste, ma avvicinarsi ad essa non è di certo deleterio. Il fatto che Bacone sia considerato come politico, filosofo ecc., garantisce la volontà di superare determinati limiti un carattere di conoscenza a trecentosessanta gradi. La sua è la conoscenza, che noi definiamo cultura generale, che dovremmo avere tutti quanti. L’epoca in cui viviamo è satura di un concetto che non può venir meno: lo sviluppo tecnologico. Quindi a mio parere l’Ateneo di Udine dovrebbe distinguersi dagli altri per le scoperte scientifiche o per le innovazioni.
Metaforicamente parlando, le scuole superiori sono le fondamenta nelle quali si erigerà la propria “casa della conoscenza o cultura”. L’università invece è lo scheletro di tale casa, la struttura portante; garantisce la tenuta duratura, in futuro, di tale casa.

 

Francesco Robortello

Descrizioni pervenute

Nato a Udine esattamente 500 anni fa, il 9 settembre 1516, Francesco Robortello fu personalità di spicco dell'umanesimo cinquecentesco italiano. Figlio di un notaio udinese, genero dello storico Antonio Belloni, dopo gli studi a Bologna, dall'età di ventun anni fu docente nelle università (Studia) di Lucca, Pisa, Venezia e infine Padova, insegnando soprattutto la retorica con un metodo innovativo (fondato su efficaci 'mappe concettuali'), che gli valse il favore degli allievi, espresso anche nell'elogio voluto dagli studenti di nazione germanica iscritto sul suo monumento funebre. Fra le sue opere filologiche e teoriche, si distinguono per particolare innovatività l'edizione delle tragedie di Eschilo (ancora citata per alcune congetture negli apparati critici), l'editio princeps del trattato Sul sublime (lo scritto di critica letteraria più importante e originale dell'antichità), il primo commento alla Poetica di Aristotele, il trattatello sull'Arte e il metodo di emendare le opere degli antichi (De arte sive ratione emendandi antiquorum libros), pubblicato a Padova nel 1557 e più volte ristampato nei secoli successivi, ricordato nelle storie della filologia come primo manuale teorico di critica del testo. La sua reputazione fu offuscata all'epoca dalle polemiche, rivolte in particolare contro la sua interpretazione anticonformista della Poetica (testo centrale per secoli nel dibattito sulla letteratura), che escludeva (giustamente) la presenza in Aristotele di una concezione moralistica, per cui la poesia dovrebbe incitare alla virtù, cardine invece della poetica del periodo della Controriforma. A partire dalla monumentale ricostruzione bio-bibliografica dovuta ad Gian Giuseppe Liruti, l'opera di Robortello è stata oggetto di una riscoperta e di una importante rivalutazione storica negli ultimi decenni, in Italia e all'estero (Diano, Carlini, Kenney, Bolzoni, etc.). Gli sarà dedicato un importante congegno internazionale in Francia, nell'ottobre di quest'anno (https://renaissance.commons.gc.cuny.edu/2015/09/13/due-nov-15-cfp-international-conference-on-italian-humanist-francesco-robortello-1516-1567-to-be-held-the-university-of-rennes-ii-oct-5-7-2016/), inteso a ricomporre la complessità della sua figura, al di là della fama legata al commento alla Poetica (“En fait, cet auteur a joué un rôle singulier dans le renouvellement des savoirs littéraires et philosophiques du XVIe siècle”).  Si veda: “Robortello Francesco” in Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei Friulani, 2 (N-Z), Udine, Forum 2009, pp. 2151-2158 (S. Cappello) (con tutta la bibliografia)

Motivazioni pervenute

L'intitolazione della Scuola Superiore a Francesco Robortello renderebbe onore (fra l'altro nel cinquecentenario della nascita) a un illustre udinese, che tale sempre si rivendicò (si firmava 'Franciscus Robortellus Utinensis'), privo a quanto pare a tutt'oggi di riconoscimenti e dediche di rilievo da parte della città, anche perché, come detto, oggetto di una riscoperta relativamente recente, che travalica i confini nazionali. La sua è una figura di studioso originale e di didatta universitario innovativo e assai apprezzato. Si distinse nella critica testuale non solo per l'acume, esercitato su testi latini e in particolare greci di particolare complessità (Eschilo, il trattato anonimo Del sublime), ma anche per la capacità di delineare per primo una teoria dell' “arte” di riconoscere e spiegare gli errori presenti nei testi classici greci e latini, e di porvi rimedio con l'emendazione, una fra le attività intellettuali più sofisticate e più ammirate dell'epoca. Fu capace di grande originalità e indipendenza di giudizio nell'interpretazione di Aristotele, riconoscendo fra l'altro i meriti dei commentatori arabi (che leggeva in traduzione), assumendo posizioni scientificamente giustificate ma che sfidavano il conformismo moralistico della Controriforma. Difese un concetto dell'arte come giustificata da autonomi valori estetici e orientata al diletto, anziché subordinata all'incitazione alla virtù. Si impegnò in un'interpretazione nuova e tuttora oggetto di interesse del concetto centrale quanto sfuggente di 'catarsi'. La notorietà anche internazionale di Francesco Robortello, fra gli studiosi di ambito filologico, letterario e storico, è attestata per esempio dalle pagine dedicategli in monografie di ampio respiro, come The Classical Text di E.J. Kenney (1974), o La stanza della memoria di Lina Bolzoni (1995), dagli studi di Antonio Carlini, dall'ampio articolo recente di D. Blocker (2004), docente a Berkeley, dai riferimenti di Carlo Ginzburg in un libro del 2006 (Il filo e le tracce). Una scelta in questo senso dimostrerebbe la capacità da parte dell'Università di Udine di valorizzare un'eccellenza locale, addirittura cittadina, ma di portata europea assoluta, ingiustamente dimenticata, con un curriculum fortemente radicato negli ambiti della ricerca, della cultura “militante” e dell'insegnamento universitario, a preferenza di opzioni più “à la page”, ma forse non altrettanto pertinenti.


Ignis Sapientiae

Descrizioni pervenute

La denominazione che ho scelto non vuole richiamare personaggi storici di alcun tipo poiché credo impossibile identificare un’istituzione polivalente come la Scuola Superiore dell’Università con qualcuno che indubbiamente si troverà ad essere più vicino alla realtà umanistica piuttosto che a quella scientifica. La giusta soluzione mi è sembrata pertanto una neutrale formula che racchiuda però una valenza evocativa di grande forza.
Ignis Sapientiae (fuoco della sapienza – conoscenza) vuole essere un richiamo al carattere peculiare di un organo di istruzione elevata che includa ogni possibile ramo universitario, da quelli scientifici a quelli umanistici.
Fuoco è inteso come un qualcosa di vibrante, sempre attivo e mai statico, capace di distruggere l’ignoranza ed elevare l’individuo oltre la realtà apparente. Esso è motore della creazione ed elemento generatore di ogni cosa nell’Universo, principio e fine di ogni elemento; tangibile e allo stesso tempo inafferrabile come la conoscenza assoluta. Da esso emerge la luce e pertanto è sinonimo di indagine negli abissi, di faro che illumina la via verso un porto sicuro, luogo dove ancorare il proprio vascello carico di saperi.
Ma ignis sta anche per costellazione, astro, stella: tutti elementi che in passato servivano come punti di riferimento per orientarsi e verso cui andare, richiami ad un mondo superiore, divino, accessibile soltanto attraverso il sapere. Dal profondo della terra emergono le rocce più dure, più belle e preziose, quelle che si sono formate con tempistiche molto più lunghe rispetto alle altre: le rocce ignee. Esse, forgiate dal fuoco che ne riconfigura la struttura cristallina e ne plasma i caratteri, emergono in superficie rinnovate, lucenti, inscalfibili; allo stesso modo anche un individuo può trovare la propria rinascita, immergendosi nel profondo di questo fulgore, di questa corrente magmatica che è la ricerca e divenire un altro, un qualcosa di migliore, di risorto, di nuovo scrigno di saperi, punto di riferimento per quelli che verranno dopo di lui. Tra i quattro elementi primari, il fuoco è quello che si colloca più in alto di tutti e, pur essendo al vertice, cerca ancora di salire.

Motivazioni pervenute

Citando la descrizione della mission della Scuola Superiore dell’Università di Udine, essa “si pone l’obiettivo di creare una comunità di allievi e di docenti uniti nel progetto di approfondire le proprie competenze scientifiche e culturali in un quadro di interdisciplinarietà”. Ignis Sapientiae racchiude in se ogni disciplina, sia essa di carattere economico-giuridica, umanistica, scientifica o medica, non delineando una particolare propensione verso l’uno o l’altro ambito. Una denominazione comune per tutti deve permettere ad ogni parte di sentirvisi partecipe pienamente.
La Scuola “si rivolge a studenti bravi, veloci e ben organizzati, che possiedono ottime conoscenze, ma anche curiosità e capacità critica, offrendo loro un ambiente di attività ricco e stimolante”. Proprio per questi motivi è stato scelto il richiamo al fuoco e alla luce: sono realtà vibranti, sempre in movimento e mai statiche; come l’essere fermi determinerebbe il loro annullamento, così anche la mancanza di curiosità e capacità critica ridurrebbero l’individuo all’automatismo proprio della macchina e non dell’essere umano che voglia elevare sempre più se stesso.
La “maturazione delle idee e dei concetti necessari per raggiungere i livelli più alti di creatività e di originalità” sembra essere lo scopo finale di ogni individuo che voglia dedicarsi allo studio; questa meta è anch’essa riscontrabile nella parola ignis, intesa pure come fuoco prospettico di una vita che scruta l’orizzonte della propria essenza ricercando verso l’infinito un luogo di incrocio delle varie conoscenze: la Scuola Superiore può rappresentare appunto questo luogo di convergenza di saperi e divenire fucina creatrice di nuove menti illuminate.
La visibilità e l’attrattività presso il pubblico italiano e straniero è data dalla denominazione latina, retaggio di un’internazionalità durata diversi secoli e solo recentemente sostituita dalla lingua inglese, priva però di quella valenza storica che solamente il latino, soprattutto per l’area europea e mediterranea, ha avuto in ogni ambito dell’attività conoscitiva e divulgativa umanistica e scientifica.

 

Ippolito Nievo

Descrizioni pervenute

Ippolito Nievo (1831-1861) è uno dei più lucidi e coerenti intellettuali italiani, di statura senza dubbio europea. Giornalista e scrittore, nel giro di dieci anni (dal 1851 al 1861) si dedica a un'intensissima produzione culturale (poesie, commedie, tragedie, novelle, romanzi, racconti filosofici e saggi politici) raggiungendo risultati di grande qualità, anche se per molto tempo non riconosciuti, perché all'epoca della sua morte prematura la maggior parte della produzione è inedita, e molti testi verranno riscoperti solo nella seconda metà del Novecento.   A un'attività letteraria e culturale di ampio respiro, che ha le sue fonti di ispirazione nel mondo contemporaneo più che nella tradizione libresca (su cui spesso esercita la sua ironia di marca sterniana), Nievo affianca l'attività politica nelle fila dei democratici italiani, impegnandosi da giovanissimo nei moti mantovani del '48, probabilmente nella Congiura antiaustriaca di Belfiore, e poi a fianco di Garibaldi nel '59 e nella successiva Spedizione dei Mille. Da Garibaldi riceve l'incarico di Intendente delle finanze dell'impresa dei Mille: un compito amministrativo difficile, in condizioni spesso durissime, che svolge con grande abnegazione e che forse sarà causa della sua morte. Il piroscafo Ercole, sul quale viaggiava di ritorno dalla Sicilia, dove si era recato per recuperare i libri contabili che dovevano servire a rispondere alle accuse diffamatorie nei confronti dell'impresa di Garibaldi, affonda misteriosamente nella notte fra il 4 e il 5 marzo 1861.  Negli ultimi anni, la figura poliedrica di Nievo e i suoi molteplici interessi letterari, storici ed economici (testimoniati anche dalla mole impressionante degli articoli giornalistici editi di recente) sono al centro di un vasta opera di ricostruzione storica e filologica, sia in ambito italiano (dove è in corso l'Edizione Nazionale delle Opere patrocinata dall'editore Marsilio, che ha pubblicato numerosi inediti) che europeo, come dimostrano fra l'altro la recente biografia di E. Chaarani Lesourd (Université de Nancy), "Ippolito Nievo scrittore politico" (2013), e i numerosi convegni a lui dedicati in vari paesi in occasione dei centocinquant'anni dalla morte.

Motivazioni pervenute

Per ragioni biografiche (la madre di Nievo, Adele Marin, è figlia della contessa di Colloredo), ma soprattutto poetiche ed esistenziali, il Friuli svolge un ruolo importante nell'opera dello scrittore. Se infatti per l'ampiezza delle sue letture, delle sue analisi storico-sociali e dei suoi riferimenti ideologici Nievo non può considerarsi in nessun modo uno scrittore regionale, ma pienamente europeo, è vero che la trasfigurazione letteraria del Friuli arcaico nei romanzi (e in particolare nelle "Confessioni di un Italiano") assume un valore rilevante, in contrapposizione a luoghi della modernità culturale come Venezia e Milano. Nella prospettiva nieviana, il piccolo e il grande, il Friuli contadino di impronta ancora feudale e la città nella sua dimensione industriale si integrano in nome della compresenza produttiva degli opposti che rappresenta la sua visione dell'esistenza, tanto curiosa quanto aliena da pregiudizi e da stereotipi culturali.  Molto materiale nieviano, andato disperso dopo la morte dello scrittore, è presente nelle biblioteche del Friuli (alla Joppi in primo luogo) e attende di essere catalogato e valorizzato dal punto di vista interpretativo. Sarebbe anzi auspicabile che gli studenti della classe umanistica della Scuola Superiore, sia italiani che stranieri, vedessero la loro permanenza a Udine anche come un'occasione di dedicarsi allo studio di Nievo, sia delle carte inedite che delle opere cosiddette minori, che non hanno ancora ricevuto tutta l'attenzione che meritano da parte degli studiosi, anche perché gli studi nieviani in Italia non hanno una lunga tradizione. Di fatto, dopo il silenzio che circonda la ricezione tardo ottocentesca di Nievo, interrotto solo dalla lettura antologica delle "Confessioni" in chiave risorgimentale (spesso non del tutto corretta), la riscoperta filologica, storica e letteraria dello scrittore avviene nella seconda metà degli anni Cinquanta del Novecento, per impulso del primo editore delle "Confessioni" secondo la volontà dell'autore, vale a dire Sergio Romagnoli. Anche in un'ottica interdisciplinare e non specificamente letteraria, d'altro canto, l'onestà e la lungimiranza delle sue analisi sulla società contemporanea, improntate a un generoso pragmatismo antiretorico (riguardo ai meccanismi economici e finanziari, al conflitto sociale, al ruolo della religione, alle dinamiche alienanti della civiltà industriale) rappresentano un esempio di riflessione politica sulla storia d'Italia del Sette e dell'Ottocento ancora da comprendere in tutte le sue implicazioni.  Non è forse superfluo aggiungere che Nievo - morto a trent'anni - è il simbolo di una giovinezza dedicata agli studi ma anche alla vita attiva, intesa come costruzione consapevole di un futuro che prescinde dall'orizzonte consolatorio di ogni utopia, nel segno di una continuità tra letteratura ed esistenza che non ha precedenti nella tradizione italiana.  Per ripetere le parole di un grande storico della letteratura, Carlo Dionisotti, esiste una differenza fondamentale tra la visione accademica di uomini come Carducci, che in un anno fondamentale per la storia d'Italia, il 1859, praticano con immutata fedeltà la via solitaria e appartata delle biblioteche e degli archivi, e le scelte coraggiose quanto inusuali di uno scrittore "italiano e libero quant'altri mai", che mette intelligenza e passione al servizio di un'idea, consapevole fino in fondo dei propri dubbi e delle proprie illusioni. Da questo punto di vista, Nievo non è solo un simbolo, ma anche un esempio del rapporto che dovrebbe unire lo studio alla vita, individuale e collettiva.


Luca Coscioni

Descrizioni pervenute

Luca Coscioni nasce a Orvieto il 16 luglio 1967. Appassionato maratoneta. Si laurea Nel 1991 in Economia e commercio presso La Sapienza di Roma con una tesi sui rapporti commerciali e agricoli fra occidente e paesi in via di sviluppo. E' ammesso poi al Dottorato di Ricerca in "Economia Montana e dei Sistemi Foresta-Legno-Ambiente", all'Università di Trento. Tra il 1992 ed il 1993 è ricercatore all'ateneo di Viterbo. Dal 1995 ha la cattedra in Politica Economica presso l'Università della Tuscia a Viterbo. Consigliere comunale a Orvieto. Nel 1995 gli viene diagnosticata la SLA (sclerosi laterale amiotrofica). Nel 1998 assieme alla compagna di vita Maria Antonietta decide di fondare l'Associazione "Don Lorenzo Milani -per i diritti dei malati e disabili" a Orvieto. Dopo alcuni anni di pausa legati alla malattia riprende la vita politica. Nel 1999 sposa Maria Antonietta. Si avvicina ai Radicali italiani nelle lotte per la libertà di ricerca scientifica. Ad aprile 2000 si candida nella lista Emma Bonino. Diventa presidente dei Radicali italiani, dal 2001 al 2006. Nel 2001 la sua candidatura alle elezioni politiche alla Camera dei Deputati nella lista con simbolo Emma Bonino viene sostenuta da 49 Premi Nobel e 510 scienziati e da ricercatori di tutto il mondo che hanno dichiarato di voler  sostenere gli obiettivi politici ed elettorali "in tal modo onorandone il valore alternativo di difesa e affermazione della libertà della ricerca scientifica, della cultura laica, del diritto umano a coglierne i frutti per sconfiggere mali sin qui definiti e trattati come incurabili". Non viene eletto, ma pochi mesi dopo di nuovo centinaia di scienziati, medici, malati e personalità politiche e della cultura lo sostengono come candidato per il Comitato Nazionale di Bioetica. Il 20 settembre 2002 dà vita all'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. Sempre nel 2002 viene presentato in anteprima il libro "Il maratoneta", curato da Matteo Marchesini e Diego Galli; un libro, scrive Marchesini, che è "prima di tutto un tentativo di riparare alla informazione negata sulla battaglia per la libertà di cura e di ricerca scientifica". Muore a Orvieto il 20 febbraio 2006 in seguito a una crisi respiratoria.

Motivazioni pervenute

Perché il nome di Luca Coscioni dovrebbe essere un nome qualificante per una Università degli Studi? Perché il suo nome rappresenta la lotta per la libertà della ricerca scientifica, contro ogni fondamentalismo e integralismo sia politico che religioso. Temi cari a Luca Coscioni (e alla sua associazione) sono: libertà di ricerca scientifica, diritti dei disabili, fecondazione assistita, aborto e contraccezione, antiproibizionismo, fine vita ed eutanasia, laicità nella politica, Università e ricerca. Luca Coscioni, assieme a sua moglie, ha fondato nel 2002 l'associazione che porta il suo nome, un'associazione no-profit di promozione sociale e soggetto costituente il Partito Radicale. Lo scopo dell'associazione è promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili e politici delle persone malate e disabili anche nelle scelte di fine vita. L'associazione, dopo la scomparsa di Luca Coscioni nel 2006, ha continuato la sua lotta; con l'obiettivo di trasformare in battaglia organizzata le speranze di tutti i gruppi di malati, medici, ricercatori e cittadini che si oppongono alle leggi proibizioniste sulla scienza. Queste leggi, in Italia e in altri stati europei, vietano la ricerca sulle cellule staminali embrionali, che potrebbero curare in futuro malattie come la sclerosi, il Parkinson, l'Alzheimer, il diabete, le lesioni del midollo osseo, il cancro, le patologie cardiovascolari: salvando 10 milioni di vite nel nostro paese, e centinaia nel mondo, oggi sacrificate in nome di un'astratta idea vaticana della Vita. L'Associazione Luca Coscioni non è un'associazione che si occupa di assistenza, ma - attraverso il suo manifesto "dal corpo dei malati al cuore della politica" - promuove l'iniziativa dei disabili e malati, rendendoli protagonisti della vita politica, come l'azione di Luca Coscioni e Piergiorgio Welby hanno testimoniato. Come riportato sul sito dell'associazione: "Da quasi mezzo secolo i governi che si succedono sembrano dar per scontato, senza dirlo, che la ricerca scientifica, l'innovazione tecnologica e un'istruzione non servono. L'Italia dedica solo l'1,2% del PIL alla ricerca, quasi la metà della media europea che è invece pari all'1,9% del PIL. Ma, prima ancora dell'esiguità delle risorse vi è il problema della degenerazione in senso anti-meritocratico dell'università che sta compromettendo il futuro di intere generazioni. L'Associazione vuole essere quel luogo di denuncia ed elaborazione di una riforma del sistema: dal meccanismo di assegnazione dei fondi pubblici alle procedure di reclutamento nelle università." Sempre dal sito dell'associazione: "Il 20 febbraio 2006, moriva Luca Coscioni. Quel giorno, secondo Marco Pannella, Luca nasce all´Italia: i messaggi di cordoglio del mondo politico lo battezzano eroe, testimone di speranza. In vita però è stato personaggio scomodo. Scomodissimo. E sul suo nome sono pesati troppi veti, da parte di quella stessa politica che lo ha salutato commossa. Quasi uno scandalo quel corpo malato che Luca ha messo in gioco per dare speranza a chi di speranza non ne ha più: a tutti quei malati che ancora oggi non sono riconosciuti come persone. Solo oggetti nelle mani della politica. La sua voce metallica è stata voce per molti nella battaglia contro ogni proibizionismo nella ricerca scientifica. […] Luca muore soffocato perché non vuole la tracheotomia, rifiuta di continuare a vivere attaccato ad una macchina. Dimostra così che nonostante la malattia è ancora un uomo libero in grado di scegliere. Non può parlare, è bloccato su una sedia a rotelle e completamente dipendente nei movimenti, eppure rivendica e mette in atto il diritto dell´individuo di decidere liberamente sulla propria vita e la propria morte. Con Luca nasce lo slogan radicale: dal corpo dei malati al cuore della politica."


Margherita Hack

Descrizioni pervenute

Nata a Firenze il 12 giugno 1922, Margherita Hack è stata una delle menti più brillanti della comunità scientifica italiana e mondiale, specie in ambito di astrofisica. Prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia, ha svolto un'importante attività di divulgazione e ha dato un considerevole contributo alla ricerca. Il padre era di religione protestante, mentre la madre cattolica. Dai genitori, entrambi critici e non soddisfatti della propria appartenenza religiosa, sviluppa le proprie convinzioni in ambito religioso. Frequenta il liceo classico e pratica pallacanestro e atletica, ottenendo discreti risultati a livello nazionale nel salto in alto. Nel 1945, a guerra finita, Margherita Hack si laurea con una tesi di astrofisica sulle Cefeidi. Il lavoro viene condotto presso l'Osservatorio astronomico di Arcetri, luogo presso il quale inizia a occuparsi di spettroscopia stellare, che diventerà il suo principale campo di ricerca. Inizia un periodo di precariato come assistente presso lo stesso Osservatorio e come insegnante presso l'Istituto di Ottica dell'Università di Firenze. Dal 1948 al 1951 insegna astronomia in qualità di assistente; nel 1954 ottiene la libera docenza e inizia ad occuparsi di divulgazione scientifica. Chiede ed ottiene il trasferimento all'Osservatorio di Merate, vicino Lecco. Nello stesso periodo tiene corsi di astrofisica e di radioastronomia presso l’Università di Milano. Inizia a collaborare con università straniere (università di Berkeley, Princeton, Parigi, Città del Messico, …). Nel 1964 quando diviene professore ordinario, ottenendo la cattedra di astronomia presso l'Istituto di Fisica teorica dell'Università di Trieste. In qualità di professore ordinario assume l'incarico della direzione dell'Osservatorio astronomico. La sua gestione durerà fino al 1987, riuscendo a dare risonanza a livello internazionale a un’istituzione fino a quel momento ultima sia per numero di dipendenti e ricercatori, sia. Dal 1982 Margherita Hack ha curato una stretta collaborazione con la sezione astrofisica della 'Scuola internazionale superiore di studi avanzati' (istituto di ricerca di eccellenza a livello mondiale). Ha alternato la stesura di testi scientifici universitari, alla scrittura di testi a carattere divulgativo. Nel tempo ha collaborato con numerosi giornali e periodici specializzati, fondando nel 1978 la rivista "L'Astronomia" di cui sarà direttore per tutta la vita. Nel 1980 ha ricevuto il premio "Accademia dei Lincei" e nel 1987 il premio "Cultura della Presidenza del Consiglio". Margherita Hack è stata membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Unione Internazionale Astronomi e della Royal Astronomical Society. Nel 1992 ha terminato la carriera di professore universitario per motivi di anzianità, continuando tuttavia l'attività di ricerca. Nel 1993 è stata eletta consigliere comunale a Trieste. In pensione dal 1997, ha comunque continuato a dirigere il "Centro Interuniversitario Regionale per l'Astrofisica e la Cosmologia" (CIRAC) di Trieste, dedicandosi a incontri e conferenze al fine di "diffondere la conoscenza dell'Astronomia e una mentalità scientifica e razionale". Margherita Hack è deceduta a Trieste il 29 giugno 2013 all'età di 91 anni. Ref. biografieonline.it/biografia.htm?BioID=917

Motivazioni pervenute

Margherita Hack è stata impegnata in campo prevalentemente scientifico nel settore dell’astronomia, per il quale ha notevolmente contribuito sia in ambito divulgativo (fondamentale per uno studioso, in quanto permette di far capire l’utilità del proprio lavoro a chiunque), sia in ambito di ricerca come indicato nella biografia e riscontrabile consultando una sua bibliografia. Margherita Hack ha dato un nuovo impulso all'attività dell'astronomia italiana. Nonostante le sue origini toscane, rimane comunque un personaggio di spicco della scena del Friuli-Venezia Giulia, essendo vissuta per anni a Trieste, e anche dall’ampio respiro internazionale, visti i suoi importanti contributi alla scienza e i periodi di studio trascorsi all’estero. Basti pensare che il suo trattato "Stellar Spettroscopy" è considerato ancora oggi un testo fondamentale di astronomia a livello mondiale.
Oltre a ciò, si è impegnata anche in altri ambiti. In particolare, sono famosi alcuni suoi spunti di riflessione filosofica in ambito religioso; ben noto è il suo ateismo, che forse un completo ateismo non è considerato che lei stessa dice “Io credo in Dio. Ma va precisato in quale” nel libro “Io credo. Dialogo tra un’atea e un prete”. In ambito sociale e politico si è poi prodigata per i diritti degli omosessuali e per il divorzio, oltre a partecipare attivamente alla politica della città in cui ha lavorato negli ultimi 20 anni, ossia Trieste. Ciò indica come non fosse semplicemente isolata nei suoi studi, ma volesse anche essere partecipe in modo attivo alla vita di società.
Sulla base di quanto scritto, è poi da ricordare quanto detto da Umberto Veronesi su di lei: “è l’icona del pensiero libero e dell’anticonformismo”, qualità che in tutto e per tutto si addicono all’insegnamento superiore multidisciplinare posto come obiettivo della Scuola Superiore. Oltre all’arguzia di base, è necessario avere l’abilità di spaziare da un campo all’altro senza problemi, mantenendo sempre la curiosità che spinge alla ricerca della conoscenza. Inoltre, bisogna avere sempre la capacità di mettere in dubbio quanto è noto e seguire le proprie convinzioni, perché non sempre ciò che è stato già scritto o detto risulta essere completamente vero.
Da ricordare infine che Margherita Hack è stata collaboratrice di un altro ben noto istituto di studi avanzati friulano, ossia la SISSA di Trieste.

 

Paolo Sarpi

Descrizioni pervenute

Paolo Sarpi (Venezia 1552-1623), teologo, giurista, storiografo, astronomo e naturalista, è stato uno dei campioni della rivoluzione scientifica e uno dei massimi studiosi e scienziati italiani di tutti i tempi. Nonostante le molte, ricorrenti voci secondo cui sarebbe nato a San Vito al Tagliamento, da dove veniva la famiglia del padre e dove esiste ancora un palazzetto Sarpi, nacque invece con ogni probabilità a Venezia. Abbracciò giovanissimo la via religiosa, dedicandosi, prima a Venezia e poi a Mantova, agli studi filosofici e matematici, del greco e dell'ebraico: già a quindici anni sosteneva dispute su materie teologiche e canonistiche, tanto che il cardinale Carlo Borromeo lo volle presso di sé a Milano. Addottoratosi in teologia a Padova nel 1578, collaborò con il celebre Fabrizio d'Acquapendente che gli riconobbe il merito di aver compreso la dilatabilità della pupilla. Nel 1585 venne eletto giovanissimo procuratore generale dell'ordine (1585) e si trasferì presso la curia romana, al culmine del suo slancio controriformistico. Ritornato a Venezia, da dove non si sarebbe più mosso, si dedicò con un'acribia e un rigore di metodo unici a tre scienze che stavano in quegli anni mutando il loro statuto epistemologico: il diritto, la politica e la storia. Senza tuttavia abbandonare mai le scienze esatte: frequentò Galileo Galilei, che gli avrebbe riconosciuto una "cognizione" delle scienze matematiche senza pari, ed ebbe anzi a lagnarsi che non gli fosse riconosciuta parte del merito per la scoperta dei pianeti medicei, che il pisano compì grazie ad osservazioni veneziane alle quali egli collaborò. Nel 1605, all'aprirsi della durissima contesa giurisdizionalistica tra Venezia e il Papato che andrà sotto il nome di 'Contesa dell'Interdetto', venne nominato consultore in iure della Repubblica. Sotto questa veste si dedicò a confutare sul piano canonico le ragioni di Roma, opponendovi l'idea della piena autorità dello Stato moderno nei suoi territori, nel rispetto del ruolo della Chiesa. Resse da solo lo scontro con due eminenze romane quali il Baronio e il Bellarmino e il suo nome acquisì una risonanza in tutta Europa, dove la Serenissima apparve l'unico stato italiano libero in grado di tener testa alla Chiesa della Controriforma e dell'Inquisizione. Sul piano politico interno, Sarpi rappresentò la figura di riferimento per quella parte dell'aristocrazia lagunare che scongiurava l'entrata di Venezia nello schieramento ispano-asburgico-papale: in tal modo fu evitata una scelta che di lì a breve tempo, allo scoppio della guerra dei Trent'anni, si sarebbe potuta rivelare esiziale per la Repubblica. I suoi anni maturi sono quelli di una lunghissima serie di consulti su materie fondamentali della vita pubblica -tra cui moltissimi riguardanti il Friuli, come quello sulle giurisdizioni del patriarca d'Aquileia o sulla materia dei feudi -e della sua produzione storiografica maggiore. Nel 1619 usciva infatti a Londra l'Istoria del concilio tridentino, nella quale il servita rintracciava l'origine della frattura della cattolicità negli scontri interni e negli interessi mondani della Chiesa rinascimentale: un'<opera che rende partecipe la storiografia della rivoluzione scientifica del Seicento> (G. Cozzi). Scampato ad un attentato nel 1607, Sarpi morì di consunzione, cristianamente, nel 1623. Il Friuli l'ha sempre considerato un suo figlio. I frati del convento udinese di Santa Maria delle Grazie commissionarono nella seconda metà del Seicento al famoso scultore Filippo Parodi un suo busto (ora nel Museo Civico di Udine; una copia è stata posta dall'Università di Padova tra quelli di Copernico e Galilei). Una lapide sarpiana venne inaugurata a San Vito al Tagliamento (dove ora gli è dedicato un I.T.I.S) nel 1882, ancor prima che a Venezia fosse eretto il monumento di campo S. Felice. Nel 1912 i mazziniani friulani d'America dedicarono invece al servita una lapide con busto, posta in quella che è ora via Paolo Sarpi, in centro a Udine.

Motivazioni pervenute

La proposta di intitolazione della Scuola Superiore dell'Università di Udine a Paolo Sarpi, personaggio di statura europea i cui scritti sono presenti in tutte le principali biblioteche del continente, poggia su quattro, forti argomenti.  1) Lo studio come regola di vita. Paolo Sarpi dedicò tutta la sua vita, anima e corpo, allo studio e al lavoro. La sua rigorosa disciplina di vita, la voracità del suo sapere, l'importanza che egli attribuì alla conoscenza costituiscono un esempio di eccezionale statura culturale, un invito rivolto agli studenti di qualsiasi epoca ad instradare la propria esistenza sulle basi dell'impegno individuale e della rettitudine morale.  2) L'utilità della conoscenza per la vita pubblica. La vita e l'opera di Paolo Sarpi rappresentano la più concreta manifestazione dell'ideale baconiano di una scienza utile all'uomo, la prosecuzione in età barocca del concetto rinascimentale di 'virtù civica': l'uomo virtuoso non è solo colui che domina il sapere ma colui che lo mette a disposizione per il benessere della propria città e della propria comunità. Invece di rinchiudersi nella torre d'avorio del suo status e della sua scienza, Sarpi decise di immischiarsi nella vita pubblica, di sporcarsi le mani con gli affanni della politica. Anche questo è un valore estremamente attuale: nell'era dell'iper-specializzazione scientifica, lo studioso, lo scienziato non deve dimenticare che la sua conoscenza deve essere utile e aperta a tutti.   3) Una scienza senza barriere. Come i massimi studiosi della sua epoca, Sarpi riuscì a coltivare scienze diverse, incrociando le sue abilità e fecondando le sue conoscenze. La scienza del suo tempo glielo consentì, e forse siamo entrati in una nuova epoca dove i grandi avanzamenti della conoscenza, ma anche i percorsi individuali più innovativi, possono essere condotti solo abbattendo le barriere disciplinari e ibridando i saperi.   4) Libertà di pensiero. Sarpi sta alla radice di uno dei principi che hanno plasmato la storia dell'Europa negli ultimi quattro secoli: il giurisdizionalismo, vale a dire l'idea secondo cui, Chiesa e Stato, nei rispettivi ambiti, sono divisi e sovrani. Giungere a questa idea, nei momenti bui in cui dominava l'Inquisizione, fu una manifestazione di altissima libertà di pensiero. E particolarmente significativo fu il fatto che essa giunse da un uomo di fede, che sempre riconobbe l'autorità spirituale ecclesiastica.  Tutte le correnti più profonde e proficue del pensiero europeo sono racchiuse nell'eccezionale vicenda spirituale e scientifica di Paolo Sarpi. Legare il suo nome all'Università di Udine significa ancorare il futuro del nostro Ateneo a intramontabili principi universali.


Pier Paolo Pasolini

Descrizioni pervenute

  • Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922 da madre friulana e padre romagnolo. Tra il 1943 e 1949 si trova a vivere a Casarsa, in Friuli, paese natale della madre, dove è fuggito in seguito all’8 settembre. Fin da giovane dimostra il suo interesse per la cultura popolare e i dialetti italiani: risale al 1942 la raccolta di poesie in friulano Poesie a Casarsa. Durante il suo periodo friulano fonda la “Academiuta de lenga friulana”. Nel 1945 Pier Paolo Pasolini si laurea in lettere a Bologna. Nel 1950 si trasferisce con la madre a Roma. Nel 1953 lavora a un’antologia di poesia popolare per la casa editrice Guanda, e nel 1954 pubblica la sua raccolta di poesie in friulano, La meglio gioventù, con cui vince il premio “Giosuè Carducci”. Nello stesso anno collabora alla sceneggiatura del film La donna del fiume, avvicinandosi al cinema. Nel 1955 pubblica Ragazzi di vita, romanzo sulla vita dei ragazzi delle borgate romane, con cui è entrato in contatto dal suo arrivo nella capitale. Il libro ottiene un grande successo di pubblico. Nello stesso anno fonda la rivista «Officina». Nel 1957 esce la raccolta di poemetti Le ceneri di Gramsci, duramente criticato da intellettuali vicini al partito comunista, ad eccezione di Italo Calvino. Nel 1959 Pasolini conclude Una vita violenta, un romanzo ancora una volta incentrato sui ragazzi delle borgate, con risvolti politici. Negli anni ‘60 Pasolini passa al cinema: il suo esordio alla regia è il film Accattone (1961), trasposizione dei temi letterari di Ragazzi di vita e Una vita violenta. Altri film di questi anni, di cui firma sempre la sceneggiatura, sono Mamma Roma (1962), Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci e uccellini (1965), Edipo re (1967), Teorema (1968) e Medea (1969). Nei primi anni ‘70 Pasolini si dedica al progetto cinematografico, che chiama “trittico della vita”, comprensivo di tre film: Il Decameron (1971), tratto dalle novelle di Giovanni Boccaccio, I racconti di Canterbury (1972), tratti dall’opera di Chaucer, e infine Il fiore delle Mille e una notte (1974). A partire dal 1973 Pasolini incomincia a collaborare con il «Corriere della Sera», con articoli di argomento politico e di costume, che verranno poi raccolti nel 1975 in Scritti corsari e nel postumo Lettere luterane (1976). Nel 1975 realizza quello che sarà il suo ultimo e più discusso film, Salò o le 120 giornate di Sodoma. Nel novembre dello stesso anno Pier Paolo Pasolini viene ucciso all’Idroscalo di Ostia, vicino a Roma. Lo scrittore e regista venne percosso e travolto dalla sua stessa auto da Pino Pelosi, “ragazzo di vita”, che Pasolini aveva fatto salire in macchina. Nel 1992 esce postumo Petrolio, romanzo ideato nel 1972 e a cui Pasolini stava ancora lavorando nel ‘75.

 

  • Pier Paolo Pasolini fu un poeta, scrittore, cineasta, sceneggiatore, drammaturgo e giornalista italiano, considerato tra i maggiori artisti e intellettuali del XX secolo. Culturalmente versatile, si distinse in numerosi campi, lasciando contributi anche come pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, non solo in lingua italiana, ma anche friulana. Nacque a Bologna nel 1922. Il padre, di origini romagnole, era un severo tenente di fanteria, che ebbe con il ragazzo un rapporto conflittuale. La madre, mite e affettuosa, era originaria di Casarsa in Friuli. A Bologna frequentò il liceo classico, poi si iscrisse a Lettere e Filosofia. Nel 1942 pubblicò a proprie spese le Poesie a Casarsa, in dialetto friulano. L'8 settembre del 1943 disertò e si rifugiò presso la madre a Casarsa. Nel 1945 si laureò con una brillante tesi su Pascoli. Lo colpì profondamente la tragica morte del fratello partigiano, ucciso con altri compagni, dai partigiani rossi e filo-jugoslavi. Nel 1949, denunciato e processato per omosessualità, Pasolini dovette rinunciare all'inseguimento. Si trasferì a Roma con la madre, tra gravi difficoltà economiche. Scrisse romanzi e sceneggiature cinematografiche. Nel 1955 pubblicò il romanzo Ragazzi di cita, da quell'anno iniziò a lavorare alla rivista Officina di Bologna, che promosse un aggiornamento delle posizioni culturali del marxismo. Nel 1957 pubblicò l'importante raccolta di versi Le ceneri di Gramsci. Nel 1959 uscì il secondo romanzo, Una vita violenta, più vicino ai canoni del realismo socialista. Nello stesso anno Officina fu costretta a chiudere a causa di un epigramma di Pasolini contro il papa Pio XII. Dal 1960 svolse intensamente l'attività di regista cinematografico, firmando opere quali Accattone (1961), Il Vangelo secondo Matteo (1964), Teorema (1968), Medea (1970), fino alla trilogia della vita, costituita da Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle Mille e una notte (1974). Dal 1966 diresse l'importante rivista Nuovi Argomenti, insieme a Moravia e a Enzo Siciliano. Su di essa pubblicò, tra l'altro, il Manifesto per un nuovo teatro (1968), che accompagnò la rappresentazione della tragedia Orgia (1968). Pasolini era ormai uno dei protagonisti della vita pubblica italiana; un intellettuale impegnato, critico verso le storture della società italiana, verso i partiti politici tradizionali, verso ogni acquiescenza borghese, a cui egli contrapponeva il richiamo della civiltà contadina, il motivo della felicità del popolo. Pasolini visse lo scandalo della propria omosessualità come una provocazione, come sfida a un mondo divenuto sordo ai valori. In lui le radici del cattolicesimo s'incontravano, e si scontravano, con l'appello del marxismo, senza che nessuna delle due fedi potesse placarlo. La sua posizione di intellettuale eretico e luterano ricorda la figura di Gesù del suo film Il Vangelo secondo Matteo, che vuole porsi radicalmente come segno di contraddizione per la società del suo tempo. Sono i temi che alimentano le poesie della Religione del mio tempo (1961) e i saggi raccolti in Passione e ideologia (1969). Negli ultimi anni scrisse articoli polemici sui giornali quotidiani (specie Il tempo e il Corriere della Sera); questi sono stati poi raccolti nei volumi Scritti corsari (1975) e Lettere luterane (postume, 1976). Morì assassinato il 2 novembre 1975, all'Idroscalo di Ostia, in uno squallido scenario di borgata che ricordava da vicino tante sue sequenze cinematografiche, e proprio per mano di uno di quei ragazzi di vita da lui ritratti con un umana simpatia.

Motivazioni pervenute

  • È un personaggio fortemente legato al territorio friulano ma dall'inequivocabile respiro internazionale (figura simbolica di un Friuli non chiuso in sé stesso ma aperto al dialogo con l'Europa), inoltre si tratta di una delle figure intellettuali più comunemente associate al territorio del Friuli Venezia Giulia. Riteniamo che una figura così radicata nel territorio sia in linea con lo spirito che ha portato alla nascita della nostra Università popolare, in accordo anche con le motivazioni del Piano Strategico d'Ateneo;
  • È un intellettuale poliedrico, infatti fu riconosciuto come professionista in vari aspetti della cultura: dal cinema, alla letteratura, al giornalismo (ha collaborato con il «Corriere della Sera», di cui divenne opinionista negli ultimi anni della sua vita). Per questo crediamo che sia particolarmente adatto a rappresentare lo spirito interdisciplinare su cui si fonda la Scuola Superiore, carattere distintivo della medesima rispetto alle altre scuole d'eccellenza.

 Pier Paolo Pasolini, grande artista eclettico del Novecento, agisce sul panorama culturale e letterario del tempo, in Italia e in Friuli, dandovi una forte impronta innovativa che ancora oggi conserva questo carattere. Pasolini è riuscito a coniugare un'anima prettamente tradizionalista e folkloristica con un'anima d'avanguardia e contemporanea. L'amore per la terra friulana (sebbene non fosse la sua terra natale, ma quella della madre) si esplica nella sua poesia a livelli profondi e contribuisce a renderlo uno dei più noti pensatori dell'epoca. Le sue liriche in dialetto escono dai confini del Friuli, per raggiungere lo scenario letterario italiano. 

Dare il nome di Pasolini alla Scuola Superiore di Udine può accrescerne il profilo culturale, radicandola nel suo territorio e al tempo stesso immergendola nel panorama italiano a pieno diritto, portando il nome di un autore che è intervenuto nella vita politica, sociale e letteraria del Paese e che ha saputo valorizzare il locale attraverso la poesia e la realizzazione di opere che hanno riabilitato il dialetto: fonda l'Academiuta di Lenga Furlana, dando risalto ai dialetti che grandi studiosi prima di lui hanno cercato di sopprimere a favore di un' idioma nazionale unificante.
Ad un autore di rilevanza come Pasolini, nella terra di cui ha tanto decantato le lodi, non dovrebbe essere concesso nemmeno di dare il nome ad un edificio o ente? Dopo che, tormentato da continui attacchi alla sua vita pubblica e privata, anche dopo la morte la sua memoria è stata infangata da ogni mezzo di comunicazione al fine di screditare il potere reazionario contenuto nelle sue opere?
Credo che dando il nome di Pasolini alla Scuola Superiore, non solo questa otterrebbe un nome ampiamente noto, ma un nome che permetterebbe un passo in più verso la riabilitazione di questa grande figura del Novecento.
I giovani hanno bisogno di figure carismatiche come quella di Pier Paolo Pasolini e, soprattutto in tempi di oscurantismo culturale come quello che stiamo vivendo oggi, hanno bisogno di conoscere il valore di autori che hanno dato un impulso vitale, se pur distruttivo, e che hanno lasciato in eredità l'idea di un bisogno proprio del mondo di essere analizzato in ogni sua minima parte e non giudicato grossolanamente. Autori che hanno scardinato ogni certezza e svelato ogni menzogna portata avanti da una cultura spicciola e di basse vedute quale era (ed è) quella predominante.
Dovremmo forse temere di dare alla Scuola Superiore il nome di un intellettuale eversivo, di un Poeta, per il fatto che viviamo in un epoca in cui essere, o apparire, in contraddizione con la massa è fonte di persecuzione, o di emarginazione? Se questo è uno dei motivi impliciti per il quale è così difficile proporre autori di questo genere, è arrivato il momento di riflettere sui concetti di libertà e democrazia che tanto ci vantiamo di onorare nel nostro Paese.

Proponiamo il nome di Pasolini:

  • In quanto si tratta di un personaggio fortemente legato al territorio friulano ma dall'inequivocabile respiro internazionale (figura simbolica di un Friuli non chiuso in sé stesso ma aperto al dialogo con l'Europa), inoltre è una delle personalità intellettuali più comunemente associate al Friuli Venezia Giulia. Riteniamo che una figura così radicata nel territorio sia in linea con lo spirito che ha portato alla nascita della nostra Università popolare, in accordo anche con le motivazioni del Piano Strategico d'Ateneo;
  • Perché è stata una figura di intellettuale a tutto tondo, poliedrico, il cui lavoro ha fortemente inciso nei più vari campi della cultura. Il suo nome è fondamentale, infatti, nel cinema, nella letteratura, in prosa e in poesia, nella critica letteraria, nella saggistica, nella linguistica storica come in quella descrittiva, nel giornalismo (ha collaborato con il «Corriere della Sera», di cui divenne opinionista negli ultimi anni della sua vita) e nella politica. Egli concepiva la cultura non come contemplazione e autocompiacimento, ma come strumento concreto per agire nella realtà e modificarla in meglio. Per questo crediamo che sia particolarmente adatto a rappresentare i valori su cui si fonda la Scuola Superiore: l’interdisciplinarità, carattere distintivo dell’istituto udinese rispetto alle altre scuole d'eccellenza, e l’impegno a contribuire attivamente alla società in cui viviamo;
  • Per la grande lucidità con cui è stato in grado di inquadrare e comprendere i cambiamenti della modernità: troviamo che un tale spirito critico possa essere d'ispirazione per qualsiasi studente;
  • Perché è l’esempio dell’intellettuale irrequieto che non ha timore di andare controcorrente, sfidando i pregiudizi e mettendo in discussione le regole della società e dell’Accademia, per proseguire la propria ricerca della verità;
  • Perché è un esempio di integrità morale e di perseveranza: egli infatti ha espresso con chiarezza le sue idee rivoluzionarie e ha manifestato la propria omosessualità, nonostante l’opposizione dell’opinione pubblica più retriva. Non si è arreso e non ha mai abiurato, configurandosi come esempio emblematico di uomo totalmente dedito ai propri ideali;

Perché è questa la volontà espressa ufficialmente dall'Assemblea degli Allievi della Scuola Superiore e confermata dal Consiglio Didattico dell’istituto.

 

Tina Modotti

Descrizioni pervenute

  • Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina: fotografa, modella, attrice e attivista politica, nasce a Udine, nel borgo Pracchiuso, il 17 agosto 1896.La famiglia emigra per 7 anni in Austria. Frequenta la scuola con profitto fino alla terza elementare. Tornata a Udine aiuta la madre nel lavoro. A dodici anni entra nelle filiere Raiser. Frequenta lo studio fotografico dello zio Pietro Modotti e apprende i primi elementi di fotografia. Nel 1913 raggiunge il padre a San Francisco. È operaia, indossatrice, modella, cappellaia.Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale s’impegna nella Croce Rossa internazionale.Nel 1917 conosce il pittore e scrittore Roubaix de l’Abrie Richey (Robo), con il quale, qualche tempo dopo, si sposa e si trasferisce a Los Angeles, dove la loro casa diventa un punto di ritrovo per gli intellettuali. Modotti inizia a lavorare nel cinema. Nel 1920 ottiene il suo primo ruolo da protagonista nel film "The Tiger's Coat". Dopo altri due film rifiuta questo mondo troppo commerciale. Conosce il fotografo Edward Weston di cui diviene modella e assistente. Robo, trasferitosi a Città del Messico muore di vaiolo mentre Modotti lo sta raggiungendo. Modotti e Weston si trasferiscono a Città del Messico e allestiscono il loro studio fotografico. Entrano in contatto con i circoli bohèmien della capitale ed espandono il loro mercato dei ritratti. Modotti incontra diversi esponenti radicali. Conosce e frequenta Frida Kahlo. Riceve l'incarico di viaggiare per il Messico per scattare fotografie da pubblicare nel libro "Idols Behind Altars", di Anita Brenner. In questo periodo viene scelta come "fotografa ufficiale" del movimento muralista messicano, immortalando i lavori di José Clemente Orozco e dell’amico Diego Rivera. E’ il suo periodo “romantico”. Modotti sperimenta. Trova un nuovo linguaggio, un nuovo vocabolario visivo, che la porta nel 1927 - è un anno importantissimo per la sua produzione artistica - a pubblicare le sue foto su "Mexican Folkways" che le aprono la strada alle riviste americane. Le sue fotografie sono esposte negli studi degli architetti di New York. Nel dicembre del 1929 una sua mostra ha un enorme successo, è l'apice della sua carriera. E’ il suo periodo “rivoluzionario”. Si avvicina agli ambienti della sinistra messicana, questo la porta a studiare fotografie dalla forte connotazione ideologica. Per il giornale della sinistra messicana “El Machete” scrive, traduce articoli (ormai è poliglotta), fotografa. Irrompe nella sua vita Julio Antonio Mella mito vivente della rivoluzione cubana, scappato in Messico. La loro storia d’amore dura pochi mesi. Mella viene assassinato all’inizio del 1929, mentre sta rincasando con Modotti, che viene coinvolta in una campagna di stampa denigratoria. Nel febbraio del 1930, a seguito di un fallito attentato al neoeletto presidente Rubio, Modotti viene esiliata. Viaggia per l'Europa per poi stabilirsi a Mosca. Abbandona la fotografia. Quando la guerra civile spagnola scoppiata nel 1936, Modotti lascia Mosca per la Spagna. Lavora con il celebre dottore canadese Norman Bethune che inventa le unità mobili per le trasfusioni. A fine guerra organizza l’esodo dei repubblicani verso il confine francese. Conosce Ernest Hemingway, Robert Capa (che le chiede di ricominciare a fotografare), Antonio Machado e tanti altri intellettuali antifascisti. Modotti rientra in Messico clandestinamente. Nel 1940 viene annullato il decreto di espulsione, e inizia a lavorare come traduttrice, ma la salute peggiora. La notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena da amici, Tina Modotti muore, colpita da infarto, sul taxi che la sta riportando a casa. L’episodio rimane tuttora poco chiaro. Venne sepolta nel Pantheon de Dolores a Città del Messico. La sua tomba, decorata con un profilo dello scultore Leopoldo Mendez, reca i primi versi di una bellissima poesia di Pablo Neruda a lei dedicata: "Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi...".
  • Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, meglio conosciuta come Tina Modotti (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), è stata una fotografa e attrice italiana. Assunta Adelaide Luigia Modotti, Tina, nasce nel Borgo Pracchiuso a Udine, da una famiglia operaia aderente al socialismo della fine Ottocento. Il padre, Giuseppe, era meccanico e carpentiere, la madre Assunta Mondini cucitrice. Nel giugno 1913 lasciò l'Italia e l'impiego nella Fabbrica Premiata Velluti, Damaschi e Seterie Domenico Raiser, per raggiungere il padre, emigrato a San Francisco, dove lavorò in una fabbrica tessile e si dedicò al teatro amatoriale, recitando anche D'Annunzio, Goldoni e Pirandello. Modotti e Weston entrarono rapidamente in contatto con i circoli bohèmien della capitale, ed usarono questi nuovi legami per creare ed espandere il loro mercato dei ritratti. Inoltre Modotti incontrò diversi esponenti radicali comunisti, tra cui i tre funzionari del Partito Comunista Messicano con cui ebbe delle relazioni sentimentali: Xavier Guerrero, Julio Antonio Mella e Vittorio Vidali. Fu amica e probabilmente amante di Frida Kahlo, militante comunista e pittrice nel Messico degli anni Venti. Tina Modotti morì a Città del Messico il 5 gennaio 1942, secondo alcuni in circostanze sospette. Dopo aver avuto la notizia della sua morte, Rivera affermò che fosse stato Vidali ad aver organizzato l'omicidio. Tina poteva "sapere troppo" delle attività di Vidali in Spagna, incluse le voci riguardanti 400 esecuzioni. La figura di Tina Modotti è stata al centro del convegno scientifico “Tina Modotti e la storia del ‘900”, promosso dall'Università di Udine e in programma nei giorni il 19 e 20 novembre con la partecipazione di alcuni tra gli studiosi più qualificati a livello nazionale e internazionale, di storici e storiche della fotografia, nonché delle più accreditate biografe di Tina Modotti negli Stati Uniti, nel Messico, in Spagna e in Italia. Una donna della propria storia, moderna perché già allora internazionale, curiosa, aperta rispetto ai cambiamenti del mondo. Un orgoglio per Udine e per la sua amministrazione, senza retroguardie o giudizi di alcun tipo, ma con la convinzione di rendere merito innanzitutto a una propria concittadina davvero illustre.

Motivazioni pervenute

  • Si tratta di un'artista poliedrica che ha affiancato alla sua arte l'intento di immortalare la realtà in modo oggettivo e una partecipazione ad eventi storici del suo tempo non indifferente. L'interdisciplinarità è una caratteristica distintiva della Scuola Superiore di Udine rispetto alle altre istituzioni analoghe in Italia (come la Scuola Normale di Pisa) e in questo la scelta della denominazione Tina Modotti è molto pertinente. Un personaggio non inquadrabile, viaggia molto e non si sottomette, per questo è diventata anche un simbolo di emancipazione femminile, vanno ricordati due eventi significativi a proposito: Si infuria per il titolo “L’imperatore della fotografia e la bellissima Tina Modotti: una combinazione irresistibile”, mostra esposta a Città del Messico in cui si esaltava la sua immagine esteriore relegando in secondo piano il suo lavoro. Lo stesso motivo per cui abbandona il cinema. Questa rinuncia ad una facile ma effimera notorietà per seguire degli ideali è un modello positivo. L'altro evento consiste nel bloccare i polsi di Diego Rivera, che ubriaco spara con un revolver in un giardino per una rabbia repressa. Tina interviene e tra tanti uomini blocca i polsi di Diego. Lo redarguisce come un bambino. Una delle tante prove di coraggio che supera in modo esemplare nella sua vita. La fotografia la rende famosa in tutto il mondo tanto che oggi i suoi ritratti sono valutati migliaia di dollari. Ci fu un momento in cui nella fotografia la sperimentazione e la ricerca non le bastarono più. Anche la fotografia, ne era convinta, doveva esprimere qualcosa che andasse oltre il formalismo estetico. Non c'è dubbio che Tina Modotti sia tra le persone di maggior spicco culturale cresciute in Friuli. Un'ottima metafora del nostro Ateneo, ben radicato nel territorio ma con un chiaro slancio verso l'internazionalizzazione, distinguendosi in Italia e all'estero. Allo stesso modo Tina Modotti rimase sempre legata alle sue terre e alla sua famiglia mentre esplorava il mondo lasciando il suo segno indelebile. Trattandosi di un nome famoso anche all'estero, associato ad una figura valida e coraggiosa, può contribuire alla nascita di visibilità della Scuola Superiore anche oltre i confini nazionali, nella speranza che attiri le giovani menti brillanti, indipendenti e libere da pregiudizi. Tina Modotti, un nome che promette una visibilità internazionale. Pensiamo solo al fatto che negli anni ’20 del secolo scorso le foto di Modotti furono pubblicate dalle più importanti riviste da Creative Art negli USA, alla prestigiosa Agfa Paper di Praga, da Verietes di Bruxelles, al Brutisj Journal of Photography nel Regno Unito, da Mexican Folkways e Horizonte in Messico. Nell'aprile del 1991, durante un'asta da Sotheby's a New York, una stampa al platino delle Rose di Tina Modotti è stata aggiudicata per la cifra record di 165.000 dollari. Modotti avrebbe condiviso questo? Lei si ispirava ai valori della cultura, della creatività, in definitiva dell’arte. Ricordiamo che Tina, quando entra nel mondo del cinema e si accorge che è il suo corpo a superare i provini e non l’espressività drammatica o la sua disinvoltura a calcare la scena abbandona la recitazione. Sente la necessità di trovare altre forme espressive. La fotografia è un’arte ancora giovane, nella quale sperimentazione e ricerca sono spazi tutti da esplorare. Tina si appassiona alle tecniche fotografiche, studia, osserva, non perde una sola parola delle intere giornate che Weston (il grande fotografo) le dedica. Collauda, inventa e studia tecniche fotografiche sulla sovraesposizione. Ottiene risultati che vengono definiti “impressione di cristallo”. Gira per il Messico con la sua Graflex che diventa un occhio spietato sulla miseria, sulla sofferenza, cattura la desolazione ma esalta anche la rabbia, la protesta. Aprendo il cammino al reportage sociale. Quello che Robert Capa, David Seymour, Gerta Taro renderanno immortale. La sperimentazione e la ricerca non le bastano più, si convince che anche la fotografia, debba esprimere qualcosa che vada oltre il formalismo estetico che sta virando ormai alla rarefazione, all’astrattismo puro. Sente di dover incidere sulla realtà, rappresentandola nei suoi aspetti più controversi, cogliendone il malessere, esaltandone la forza di ribellione ovunque si manifesti. Un messaggio universale. Durante la grande guerra è volontaria nella Croce Rossa. Gestiosce il Comitato “Manos fuera de Nicaragua” organismo di appoggio alla lotta di Augusto Cesar Sandino contro l’occupazione USA. “Le fotografie di Tina Modotti simbolizzano gli aneliti e le ansie della nuova generazione verso la conoscenza di ogni cosa, il bisogno di esaminare e approfondire, di scoprire tutte la sfaccettature della realtà […]” scriveva Gustavo Ortiz Hernan che sarebbe diventato direttore di El Universal Grafico. Tina indipendente, originale nel vestire: indossa quasi sempre blue jeans, assolutamente inusuali per le donne della sua epoca. Su un giornale di Città del Messico troviamo questo ritratto di Tina: "È apparsa con una camicia di seta a collo alto e una cravatta disinvoltamente maschile...". Poco attenta alla propria bellezza. A Città del Messico si inaugura la mostra: “L’imperatore della fotografia e la bellissima Tina Modotti: una combinazione irresistibile”. Questa frase che trova stampata sui manifesti la fa infuriare. Ancora una volta si esalta la sua immagine esteriore relegando in secondo piano qualsiasi risultato ottenuto nel lavoro.  Sicuramente nel mondo giovanile il fenomeno dell’immagine è molto forte. L’immagine infatti diventa tutto. Tina risponde con le immagini dense di significato dei suoi scatti, del suo lavoro, del suo impegno.